Sta facendo discutere il fallimento di Builder.AI: l'IA che prometteva di programmare app sfruttava in realtà 700 ingegneri indiani

Sembra esserci un vero e proprio mondo sommerso dietro al fallimento della sedicente intelligenza artificiale chiamata Builder.AI, programmata da una piccola startup londinese che, nell’arco di pochissimi anni di servizio, ha attirato miliardi di dollari di investimenti, anche da parte di colossi del calibro di Microsoft e (indirettamente) Google: la promessa e premessa dell’applicazione era semplice, con il CEO e fondatore Sachin Dev Duggal che sosteneva di poter rendere – proprio grazie alla sua Builder.AI – più rapido, semplice ed economico programmare siti web ed applicazioni; mentre, in realtà, di “artificiale” c’era ben poco, dato che l’algoritmo era composto da circa 700 ingegneri indiani che programmavano personalmente le app e i siti, fingendo quell’automazione tipica dell’IA.



Il caso è complesso ed articolato, e prima di arrivarvi vale giusto la pena ricordare che Builder.AI è stata fondata nel 2016 dal già citato Sachin Dev Duggal: il claim pubblicitario era quello di rendere la creazione di app “facile come ordinare una pizza” e, in breve, ha attirato l’attenzione di buona parte dei colossi tech mondiali, arrivando a toccare un valore stimato di 1,5 miliardi di dollari; mentre, a guardare le recensioni ancora presenti su TrustPilot, sembra che i servizi offerti fossero appena superiori allo scadente, e non sorprende che oggi la compagnia abbia depositato l’istanza di fallimento, con il CEO che si è dimesso ed è volato in tutta fretta negli Emirati Arabi, dai quali starebbe cercando acquirenti disposti a sobbarcarsi il costo del fallimento.



Il collasso di Builder.AI: dagli ingegneri indiani sottopagati ai libri contabili truccati, le ombre della startup tech finanziata da Microsoft

Su come un (sedicente?) colosso del calibro di Builder.AI sia arrivato, di punto in bianco, a dichiarare bancarotta, le indagini sono attualmente in corso – sia da parte della procura di New York, che di quella di Londra –, ma nel frattempo alcune lacune sarebbero già emerse: da un lato, il già citato tema dei 700 ingegneri indiani letteralmente sfruttati, sia per rispondere al chatbot chiamato “Natasha” e aperto ai clienti, sia – e soprattutto – per programmare o rifinire le app commissionate a Builder.AI; il tutto con gli scarsi successi ai quali abbiamo già accennato.



Dall’altra parte, sembra anche che Builder.AI avesse messo in piedi un vero e proprio sistema truffaldino per la contabilizzazione: a rivelarlo è il Financial Times, che avrebbe visionato i libri contabili dell’azienda e intervistato alcuni ex dipendenti, scoprendo che, complessivamente, i ricavi e i crediti sarebbero stati gonfiati e contraffatti al punto che solamente un quarto del totale corrisponderebbe alla realtà; il tutto – ovviamente – al fine di attirare più investitori possibili di altissimo livello, di fatto ingannandoli sulle possibilità di far fruttare i loro investimenti.