Caro Sussidiario,
Ho conosciuto Pietro il Grande; non Pietro I Romanov, imperatore di Russia, ma Pietro Mennea, il figlio del Sud, che si fece ammirare da milioni di italiani negli anni ’70-80 ed invidiare da molti giovani che, come me, praticavano l’atletica con passione, ma senza particolari ambizioni. Ho un ricordo preciso di quel giugno del 1971 allo stadio di atletica di Pisa, dove si svolgevano i campionati italiani juniores. In quell’anno la categoria junior comprendeva anche i nati del 1951, il mio anno: Pietro era del 1952. In attesa della mia gara, i 10.000 (nella quale non andai oltre un onorevole settimo posto) mi fermai a vedere la finale dei 200. Mennea stravinse: non esistevano per lui avversari; l’anno dopo (nel 1972) a soli 20 anni avrebbe vinto la medaglia di bronzo ai Giochi Olimpici di Monaco, quelli maledetti di Settembre nero ma anche quelli dell’inizio della sua inimitabile carriera. Non mi vergogno di aver chiesto a un mio coetaneo un autografo con dedica, che gelosamente custodisco da qualche parte. Sacrificio, capacità di sofferenza e una indubbia dote naturale: ecco la ricetta del segreto Pietro Mennea, plasmato da quell’altrettanto maestoso allenatore che fu Carlo Vittori, il quale anni dopo in un’intervista ebbe a dire: “Pietro in anni di allenamenti è aumentato di solo qualche etto, quando vedo certi atleti che nel volgere di poco tempo ottengono fisici da culturista e tempi mondiali nella velocità, qualche dubbio mi assale..”. Non incontrai più Pietro sui campi di atletica, scelte differenti ci attendevano. Rimasi, come altri, spettatore della sue nobili gesta.
(Gabriele Moltrasio)