Nato in Senegal, ma “fiero e orgoglioso di essere italiano”: questa è la storia di Muhammad Ali Ndiaye, pugile che venerdì 7 si batterà per il titolo europeo dei supermedi di boxe contro il francese Christopher Rebrasse sul ring di Brindisi. Un pugile di ottimo livello, quindi, diventato italiano grazie al matrimonio con una ragazza italiana, Federica. Una storia emblematica in questi giorni nei quali si parla molto delle proposte del ministro Josefa Idem. Di certo, per chi non si sposa con una italiana attualmente è molto più difficile ottenere la cittadinanza, anche per chi magari è nato e sempre vissuto in Italia: “Se non mi fossi sposato, sarei ancora un vu cumprà in giro per le strade, altro che campione”, racconta con l’accento toscano che è dovuto al fatto che dal 2005 vive e si allena a Pontedera. Dunque un campione che deve quasi tutto all’incontro con Federica, siciliana di Sciacca, avvenuto su un treno: lei andava a casa, lui vendeva collanine. “Le ho detto proprio vu cumprà? – ricorda Ndiaye -. Lo avrei fatto per tutta la vita, invece con Federica fu amore, le nozze, due figli, e anche il diritto di cittadinanza, una nuova vita nella legge, la possibilità di fare la boxe da professionista, seguendo un’abitudine di famiglia”. Il padre Moussa fu cinque volte campione nazionale in Senegal ed era grande amico di Muhammad Ali, il leggendario Cassius Clay, tanto da dare lo stesso nome al suo bambino, sperando un giorno di vederlo sul ring. Speranza esaudita, anche se con la bandiera tricolore. “Oggi sono fiero e orgoglioso di essere italiano. Nella mia famiglia scorre sangue italiano, mia moglie e i miei figli sono italiani; anche se io sono nato in Senegal e sono contento di questo e dei miei genitori. Sarei un bugiardo a negare quanto sia contento di essere italiano, ma ciò si deve solo al mio matrimonio. La proposta della ministra è giustissima, la condivido in pieno e le auguro di poterla applicare. Ci sono giovani che potrebbero diventare campioni, ma non possono farlo. Bisogna dare una possibilità a tutti. Secondo me comunque ci vorrebbe un solo limite per dare la cittadinanza italiana: il rispetto delle leggi e delle persone. Il mio non è un caso unico: a Pontedera ci sono giovani pugili promettenti, ma non hanno la cittadinanza. Altri vorrebbero arruolarsi nelle forze armate, ma non possono. Si sentono italiani, vivono in Italia, parlano italiano, ma non hanno la cittadinanza. Fa bene la ministra Idem a occuparsi di questa cosa”.
Ma per Ndiaye la boxe non è tutto: “Quando smetto con la boxe vorrei diventare vigile del fuoco. È un bel lavoro, si aiutano gli altri. Dal 2005 faccio il volontario a Pontedera. Spero di farne il mio lavoro del futuro. Un altro sogno è incontrare ancora il vero Ali: mi vide quando nacqui e poi quando avevo 9 anni, ho pochi ricordi. Mi piacerebbe rivederlo oggi”. Magari se l’Ali azzurro diventa campione sarà più facile…