Camillo Olivetti, padre di Adriano, fondò l'omonima azienda di Ivrea: fu lui a produrre in Italia i primi modelli di macchine per scrivere.
Camillo Olivetti, padre di Adriano, fu colui che fondò l’omonima azienda di Ivrea che ha dato lustro alla famiglia per generazioni. Nato nel 1868 da famiglia ebraica, rimasto orfano di padre ad un anno, Camillo Olivetti fu fin da bambino una mente intellettualmente talentuosa ma allo stesso tempo difficile da inquadrare negli schemi tradizionali. Vittima fin da ragazzo di accessi d’ira che non lo abbandonarono neanche in età adulta, Camillo Olivetti venne iscritto al liceo classico, che completò con ottimi voti ma sperimentando una forte indifferenza per gli ambienti chiusi. Iscrittosi presso il Regio Museo industriale di Torino, si laureò il 24 dicembre 1891 in ingegneria elettrotecnica con Galileo Ferraris, con la votazione di 90/100. Fu proprio quest’ultimo ad invitarlo ad accompagnarlo al congresso internazionale sull’elettricità tenuto nell’ambito dell’Esposizione universale colombiana di Chicago (1893). Rientrato a Ivrea dopo aver trascorso un anno negli Stati Uniti, nel 1896 mise a frutto le sue competenze fondando la Ditta Olivetti per la produzione di materiali elettrici.
CAMILLO OLIVETTI E LA MACCHINA PER SCRIVERE
Nel maggio 1903 Camillo Olivetti trasferì la Ditta a Milano, trasformandola il 16 giugno 1905 in società anonima per strumenti elettrici denominata C.G.S. (iniziali di Centimetro Grammo Secondo). Come riferito dalla Treccani, Camillo Olivetti non era però “portato per natura e per scelta alla crescita incontrollata e all’indebitamento con le banche”, per questo fece ritorno nel 1907 a Ivrea. Da questa esperienza nacquero i germi della sua attività da imprenditore e inventore insieme: Olivetti senior prese così a tradurre in schizzi e calcoli il progetto di realizzare una macchina vista in America e che in Italia non c’era se non in pochi esemplari importati: la macchina per scrivere. Come riporta la Treccani, Olivetti “disegnò una particolare soluzione del ‘cinematico’ (la parte più impegnativa, essendo l’insieme di leve e di rimandi di collegamento fra la tastiera e la leva portacaratteri o martelletto sino al foglio di carta). Anche se il risultato finale comportò un numero di componenti della macchina piuttosto alto e quindi non economico, Camillo Olivetti si convinse della bontà dei preliminari e tornò nel novembre 1907 negli Stati Uniti, al fine di visitare le più importanti fabbriche del settore. Nel febbraio 1908 rientrò ed eseguì tutti i disegni tecnici del prototipo, depositando due brevetti. Il 12 agosto poté scrivere alla moglie una lettera battuta sulla sua prima macchina. Il 29 ottobre 1908 fu fondata a Ivrea la Società in accomandita semplice Ing. C. Olivetti & C., di cui gli appartenevano 44 carature (o quote) su 70. Gli operai in forza erano 20. (…) Il primo esemplare, chiamato M.1, fu presentato all’Esposizione universale di Torino per il cinquantenario dell’Unità d’Italia, nel 1911″.
CAMILLO OLIVETTI E IL FIGLIO ADRIANO
In Camillo Olivetti fu forte da sempre la spinta a prendere parte all’allora molto sentita “questione sociale”. Il padre di Adriano aderì dunque al Partito socialista, sorto a Genova nel 1892, con il cui fondatore, Filippo Turati, ebbe rapporti personali. In occasione dello scoppio della Grande Guerra sentì come suo dovere di cittadino quello di contribuire alla causa generale del Paese: “la Società (che aveva superato i 100 dipendenti, con una produzione di 23 macchine a settimana) fu convertita alla produzione di parti meccaniche per l’industria bellica e segnatamente del magnete per motori d’aereo. Alla pace, la riconversione alla produzione normale fu immediata”. Agli inizi del 1926 a fianco del padre entrò in fabbrica il figlio Adriano, dopo la laurea nel luglio 1924 in ingegneria chimica al Regio Politecnico di Torino e il viaggio di studio negli Stati Uniti. La nuova macchina M20 raggiunse le 12.000 unità, con circa 500 operai, dopo che erano iniziate le razionalizzazioni organizzative di Adriano, il figlio al quale Camillo Olivetti lasciò la presidenza nel 1938. Scrive Treccani: “Dopo l’8 settembre 1943 e quando la Wehrmacht arrivò anche ai cancelli della fabbrica, esortò gli operai che lo andarono a cercare a «prendere le armi, per difendere le vostre case, le vostre famiglie, le vostre macchine» (Bigiaretti, 1958, p. 32). Ricercato, fu aiutato a rifugiarsi a Pollone nel Biellese; la moglie fu nascosta a Vico Canavese; i figli erano dispersi in varie clandestinità o fuori Italia”. Morì all’ospedale di Biella il 4 dicembre 1943.
