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Home » Esteri » CAOS FRANCIA/ La “rupture” di Lecornu e quella di Monti nel 2011

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CAOS FRANCIA/ La “rupture” di Lecornu e quella di Monti nel 2011

Nicola Berti
Pubblicato 13 Ottobre 2025
Premier Lecornu, Francia

Sebastien Lecornu, Premier dimissionario in Francia (ANSA-EPA 2025)

Sembrano esserci delle analogie tra la Francia di oggi e l'Italia del 2011, quando venne nominato Premier Mario Monti

La “rupture” annunciata da Sebastien Lecornu in Francia suggerisce di per sé ai politologi un confronto con quella operata da Mario Monti in Italia nel 2011. Il giornalista può annotare qualche spunto.

Il primo l’ha offerto sabato lo stesso Premier ri-designato a Parigi da Emmanuel Macron, quando ha detto di voler costituire un Esecutivo “liberato dai partiti”. È la formula classica dei Governi tecnici o istituzionali: come certamente è stato quattordici anni fa quello di Monti. Che era un economista ed ex commissario Ue senz’alcuna esperienza politica o di governo in patria: dunque un tecnico vero, per quanto nominato in extremis senatore a vita. Lecornu, invece, vanta un lungo curriculum di ministro sotto le insegne di quel partito macroniano con cui dice di voler “rompere”.


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Sempre sul terreno dell'”autonomia dai partiti” – di per sé insidioso nella cornice di una democrazia rappresentativa – Monti poté contare su una larghissima maggioranza istituzionale alle Camere (gli negarono la fiducia solo Lega Nord e Italia dei Valori, non più del 10%).

Lecornu dovrà invece fare i conti a prescindere con l’opposizione di un terzo dell’Assemblea nazionale: Rassemblement National (oggi il primo partito francese) e La France Insoumise sono stati programmaticamente esclusi da ogni possibile maggioranza fin dalle consultazioni condotte dallo stesso Macron. E qui la riflessione tocca il cuore del confronto con il caso Monti, suggerendo lo spunto forse più intrigante.


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Monti fu issato a palazzo Chigi da un’azione decisa del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: che certamente esorbitò dal format disegnato per il Quirinale dalla Costituzione di una repubblica parlamentarista. Lecornu-2 – sesto Premier incaricato da Macron in tre anni di secondo mandato – viene oggi inviato ad affrontare a oltranza l’Assemblea nazionale da un Presidente della Quinta Repubblica semipresidenzialista francese.

Macron stesso è stato eletto a suffragio popolare e detiene – come i predecessori fin dal generale De Gaulle lungo gli ultimi 60 anni – la “presidenza” dell’Esecutivo e poteri esecutivi nel campo della politica estera e della difesa.


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Nel 2011 l’Italia fuggì dunque in avanti verso un semipresidenzialismo ibrido: rimasto nei fatti in vigore fino al voto 2022, a maggior ragione dopo il ribaltone 2019 e un nuovo Esecutivo tecnico affidato a Mario Draghi.

Oggi la Francia soffre ed esibisce i limiti e i rischi del semipresidenzialismo costituzionale quando pretende di “liberarsi” del tutto del Parlamento nell’amministrare la sovranità. E allora il deus ex machina a Roma fu un ex dirigente del maggior partito comunista di ortodossia sovietica in Europa occidentale prima della caduta del Muro. Oggi a Parigi la “resistenza” emblematica del semipresidenzialismo francese – a un parlamentarismo sempre più tacciato di populismo anti-democratico/anti-europeo/anti-occidentale – è condotta da un ex banchiere di Rothschild.

Nell’arco di di 14 anni, sia la crisi di governo italiana sia quella francese risultano innescate da un’emergenza finanziaria. Quella italiana detonò subito – e fu politicamente risolta in fretta – con il decollo dello spread. Quella francese cova da anni e il suo aggravamento è stato segnalato ora in modo inequivocabile dai mercati: con l’allineamento fra spread italiano e francese e il taglio del rating di Parigi da parte di Fitch, a fronte della conferma per Roma da parte di S&P’s.

L’Europa fu severissima con l’Italia: lo furono in particolare la Francia di Nicolas Sarkozy e di Jean Claude Trichet (Presidente uscente della Bce) e la Germania rigorista di Angela Merkel. Oggi alla guida della Commissione europea c’è la tedesca Ursula von der Leyen (ex ministra della Merkel e compagna di partito del Cancelliere Friederich Merz) e da sei anni alla Bce c’è la francese Christine Lagarde, ex ministro delle Finanze a Parigi e – si sussurra – possibile candidata a succedere a Macron (il 2027 rappresenta la scadenza teorica per entrambi).

All’austerity draconiana imposta all’Italia – in cambio del sostegno ai Btp – appose la sua firma anche Draghi: Governatore della Banca d’Italia in procinto di trasferirsi alla Banca centrale dell’euro. La riforma delle pensioni fu il cardine esemplare della manovra “salva Italia” di Monti. La stessa riforma è oggi l’oggetto principale della crisi francese: è stata varata due anni fa, all’inizio del secondo mandato di Macron, ma non ha mai ricevuto una vera e formale approvazione parlamentare. E le forze della sinistra moderata pongono ora come condizione non negoziabile la sua sospensione.

L’Eliseo non è chiuso, ma in una cornice spregiudicata di escamotage, sia tecnico che politico. Dietro l’ambiguo “decalage” della riforma per il 2026 ventilato da Macron vi sarebbe alla fine solo il tentativo di scaricare la bomba pensionistica sul futuro Presidente, senza urtare oggi le forze di centrodestra, contando sulla compiacenza di mercati e sulla complicità ai vertici Ue. Analogamente, la “tassa Zucman” (prelievo straordinario del 2% su tutti i patrimoni individuali e societari superiori al 2%) verrebbe drasticamente mitigata in un provvedimento ponte; però politicamente spendibile per le sinistre. Perché in Francia la partita vera è la successione di Macron, al momento fissata per la primavera 2027, ma forse prima se lo imporrà l’avvitamento della crisi-Paese.

Il Presidente punta dunque a resistere 18 mesi – anche per continuare a recitare da frenetico player geopolitico – evitando nel frattempo nuove legislative anticipate (sarebbero il bis di quelle che lui stesso ha chiamato e clamorosamente perso un anno fa, dopo il tonfo alle europee). Monti stesso entrò in carica sapendo che dopo 18 mesi la legislatura si sarebbe conclusa. E all’approssimarsi del voto politico tentò un’operazione trasformistica di spregiudicatezza forse non inferiore a quella esibita oggi da Macron.

Da Premier istituzionale e Senatore a vita si re-inventò leader politico, fondando un nuovo partito centrista. Ma Scelta Civica non ottenne i consensi sperati e mutilò invece l’affermazione del Pd, dando spazio a sinistra all’ascesa antagonista di M5S. Fu quindi l’esperimento Monti – in qualche modo anticipatore europeista di quello macroniano, riuscito in Francia nel 2017 – a condizionare una legislatura opaca e debole: dominata da tre Premier “dem” – in particolare da Matteo Renzi, mai eletto prima in Parlamento – ma con il sostegno determinate di una pattuglia di senatori “prestati” da Berlusconi (e in questo clima maturò anche il passaggio di testimone al Quirinale fra Napolitano e Sergio Mattarella).

Last but not the least: si è formato nel tempo un largo consenso sul fatto che l’austerity ordinata all’Italia nel 2011 sia stata una scelta tecnicamente sbagliata (anzi: la crisi della “Ue dei parametri” sarebbe cominciata allora e ora Macron potrebbe perfino approfittare del cambio di un paradigma ultimamente ormai dichiarato obsoleto perfino dalla Germania). L’Azienda-Italia, in ogni caso, non ha beneficiato in nulla di quella terapia politico-economica, che verosimilmente nascondeva finalità meno narrabili.

Fra queste la principale era l’estromissione di Berlusconi – leader di un moderatismo liberale europeo considerato diverso da Sarkozy e Merkel – anche per il timore di resistenze all’operazione militare della Nato contro la Libia del colonnello Gheddafi (ed è singolare che proprio nel pieno della sua crisi, la Francia abbia condannato al carcere Sarkozy per sempre dibattuti finanziamenti libici alla campagna presidenziale francese del 2007).

Su un terreno più squisitamente politico, il tentativo di innesto artificiale in Italia dell’europeismo montiano è completamente fallito. La vera “rupture” è stata invece rappresentata dall’ascesa di M5S alle elezioni 2013 e 2018 (qui anche della Lega, poi primo partito a euro 2019) e quindi dall’affermazione storica, nel 2022, di una leader della destra conservatrice. Prima donna Premier dell’Italia repubblicana, Giorgia Merloni, che fra una settimana diventerà il terzo Premier più longevo su 68.

Nel frattempo il Pd portabandiera dell’europeismo italiano – in chiave di costante superiorità morale – non ha mai vinto un’elezione politica: pur governando il Paese per un decennio. Dal Quirinale: nel frattempo legatosi con un peculiare “trattato d’amicizia” con quell’Eliseo da cui Macron vorrebbe continuare a governare la Francia attraverso Lecornu. Finalmente “liberi dai partiti”.

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Tags: Emmanuel MacronSilvio BerlusconiSergio MattarellaGiorgio NapolitanoMario MontiMario DraghiAngela MerkelQuirinale

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