“Mi commuovo pensando alle brutalità inenarrabili che stanno subendo queste ragazze, è impossibile immaginare che si possa usare tanta violenza nei confronti di ragazzine di 14 anni, è una vera tragedia”. Esordisce così Rony Hamaui, docente di scienze bancarie, finanziarie e assicurative nell’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, quando gli chiediamo quali possibili sviluppi si possano intravvedere nella caotica situazione iraniana, che oggi sembra dominata unicamente dalla violenza e dalla più brutale repressione da parte di un regime che cerca di sopravvivere alle proteste e ad un ampio malcontento.
Unica arma dei regimi è sempre stata la violenza, generare terrore nel popolo affinché non si azzardi più a protestare. “In tutti questi anni l’Iran si è costituito in regime monocratico religioso fortemente accentrato, basandosi su poche figure, usando la violenza in modo spregiudicato tanto da impedire il nascere di ogni possibile forma organizzata di opposizione. Lo vediamo anche nelle manifestazioni popolari, dove non esiste alcuna leadership”.
In un quadro come questo l’unica possibilità, ci ha detto ancora Hamaui, “è un cambio generazionale che permetta un cambiamento simile a quello accaduto in Arabia Saudita, dove si è passati da un regime teocratico a uno nazionalista, mantenendo però impossibile qualunque forma di opposizione”.
Ci sono alcuni segnali di possibile cedimento del regime iraniano. Si parla, ad esempio, di preparativi per una possibile fuga in Venezuela degli esponenti più in vista. In questa ottica c’è qualcuno che sta pensando a una alternativa, tra il clero o tra i laici?
La repressione in tutti questi anni è stata così violenta che non esiste una struttura organizzata di opposizione con cui dialogare. Lo vediamo anche nelle manifestazioni, dove non c’è una leadership, una struttura. La cosa che ritengo più probabile è che a un certo punto all’interno degli apparati di controllo emerga il tentativo di fare un cambio generazionale o di leadership, un ultimo tentativo di operare un qualche tipo di evoluzione.
L’attuale guida suprema del Paese e massimo esponente del clero, Khamenei, dialoga con gli islamisti moderati? Sappiamo che in Iran ce ne sono, in passato hanno anche ricoperto cariche importanti.
I moderati sono stati fatti fuori tutti. All’interno della struttura teocratica ci sono correnti che vorrebbero vedere una evoluzione, hanno paura che il regime crolli, quindi tentano una mediazione che permetta al regime di mantenersi, ma che ci sia un cambiamento di leadership è difficile, se non impossibile. È un regime che non ha alternative. Se guardiamo a Paesi come il Perù o altri del Sudamerica, vediamo che c’è sempre una forza di opposizione più o meno organizzata che riesce a contrastare o abbattere il regime in carica. In Iran, con un regime monocratico, è molto più complicato.
Viene in mente l’Arabia Saudita, un regime simile, tutto basato sulla religione come unica forma di potere contro cui è ribellarsi è considerata una blasfemia. È così?
In realtà l’Arabia Saudita sta subendo una trasformazione, una evoluzione. Da regime teocratico sta diventando regime nazionalistico. La religione ha perso di peso, venendo sostituita da un’altra ideologia, che è quella nazionalista. Potrebbe succedere anche in Iran, però nell’assenza totale di partiti, sindacati e associazioni è veramente difficile organizzare una opposizione in questi Paesi.
Il 34,7% della popolazione iraniana ha meno di 24 anni. Il collegamento con la generazione della rivoluzione del 1979 non esiste più. Allo stesso tempo l’età del clero è sempre più avanzata. Questo cosa ci dice?
Certo, potrebbe significare che all’interno del clero ci possa essere un passaggio generazionale, un po’ come successo appunto in Arabia, dove c’era una gerontocrazia assoluta. Poi è arrivato un principe giovane, con una visione diversa, una idea di sviluppo economico e di società. Non molto migliore, ma diversa.
Ha anche una forza di sicurezza e di polizia inattaccabili.
E un patrimonio non indifferente. Non dimentichiamo che l’Arabia Saudita è una monarchia e l’Iran una repubblica, e le monarchie generalmente garantiscono una stabilità maggiore. È possibile che la teocrazia possa crollare, però la paura della classe media è che si finisca come in Iraq e in Libia. Anche questo tiene in piedi il regime.
Che fine ha fatto l’ex presidente Ahmadinejad? Certo, era un personaggio brutale e violento, ma era anche molto più laico degli attuali dittatori.
È scomparso. Che cosa sia successo esattamente non c è dato sapere, può essergli successa qualsiasi cosa. Era anche una figura più giovane dei leader del clero, ma non è che fosse meglio.
Quali scenari, quindi, oltre al cambio generazionale? Una presa del potere da parte dei militari?
Bisogna domandarsi se i militari sono una forza autonoma rispetto al potere teocratico. Non ci troviamo in Turchia, dove effettivamente prima di Erdogan c’era un potere militare autonomo. Un colpo di stato organizzato dai militari può succedere, ma non lo vedo probabile. Se succederà qualcosa, potrà essere che all’interno del gruppo dirigente ci sia un ricambio.
Cina e Russia sono i due più grandi alleati dell’Iran. Stanno facendo di tutto perché l’attuale regime non crolli?
Assolutamente sì. In questo momento tutto vorrebbero meno che l’Iran diventasse filo-occidentale. Soprattutto la Russia, dove questa partnership militare si sta rivelando decisiva. I regimi totalitari tendono a coalizzarsi tra loro, a sostenersi e ci riescono più di quanto riescano a coordinarsi i regimi democratici, perché hanno fondamentalmente un comune interesse alla sopravvivenza.
(Paolo Vites)
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