A 96 giorni dall’inizio delle manifestazioni di protesta in Libano, sono tornate le contrapposizioni violente tra manifestanti e forze dell’ordine. Sabato scorso, solo nella capitale Beirut, si sono registrati 400 feriti. Da 80 giorni, poi, il paese è senza governo, l’economia non gira più. “Quelle che all’inizio erano proteste esclusivamente contro le tasse e la mancanza di lavoro per i giovani, da tempo si sono trasformate in manifestazioni politiche con l’obiettivo di cambiare un sistema istituzionale antiquato e non più in grado di reggere: quello, cioè, di partiti settari e confessionali che avvantaggiano solo i propri seguaci” spiega il corrispondente di guerra de Il Giornale e scrittore Gian Micalessin. “Ora la grande incognita – aggiunge – è come si comporterà Hezbollah, che non accetterà mai di perdere il suo predominio sul Libano”.
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Intanto il Libano da 80 giorni si ritrova senza un governo. Chi comanda oggi nel paese?
Il Libano è stato per anni anche senza un presidente della Repubblica. Sono purtroppo situazioni alquanto frequenti e non è questo l’aspetto più preoccupante.
Che cosa preoccupa di più, allora?
Si è creato un malcontento sociale soprattutto fra i giovani e si registra un crollo di consensi nei confronti di Hezbollah. Quest’ultimo fatto è particolarmente preoccupante, perché una perdita dell’egemonia in Libano potrebbe portare Hezbollah a intervenire con la violenza.
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I partiti delle varie confessioni religiose che governavano il Libano cosa stanno facendo? Sono spariti dalla scena?
Il Libano poggia su una architettura istituzionale piuttosto datata, che prevede un presidente cristiano e un primo ministro sunnita. Una architettura che non corrisponde neanche al censo e alla reale divisione della popolazione libanese. In questo modo è nato un sistema settario e corrotto, dove ciascuno favorisce solo la propria parte. E questo il popolo non lo sopporta più.
Ci sono fattori a livello internazionale che entrano in gioco in questo quadro?
Certamente. Mettere in crisi l’egemonia di Hezbollah in Libano è un modo per mettere a sua volta in crisi la presenza iraniana nello scacchiere del Medio Oriente, in particolare in quella parte dell’area mediorientale che preoccupa Israele. Oltre a quello che si vede nelle piazze, è in corso uno scontro strategico più profondo.
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C’è qualche forza politica libanese che sarebbe disposta a cambiare il sistema?
È difficile dirlo, questo è un momento molto magmatico. Come sempre in queste situazioni non si riesce a capire bene quali forze si muovano dietro le quinte. È una partita che vede da una parte i nemici dell’Iran e dall’altra gli Hezbollah, quelli che vogliono un Iran pericoloso per Israele, che a sua volta sta giocando la sua partita. Poi ci sono l’Arabia Saudita, messa in disparte dagli Hezbollah, e ovviamente anche gli stati Uniti. È il tradizionale intreccio delle varie forze presenti sul territorio libanese. E strappare il Libano a Hezbollah sarebbe una colpo decisivo per i nemici di Teheran.
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Ma così si correrebbe il rischio di una nuova guerra, non è vero?
Sì, ma bisogna ricordare che uno dei modi per evitare le tensioni sociali interne è proprio quello di scatenare un conflitto esterno. Hezbollah potrebbe cercare la strada della contrapposizione diretta con Israele, con il quale sin dal 2006 è in costante conflitto sotto traccia. La legittimità di Hezbollah sta tutta nell’essere un’arma puntata contro Israele: se messi alle corde, gli Hezbollah potrebbero scatenare un conflitto devastante con Israele.
(Paolo Vites)