Dopo 14 mesi dall’inizio dell’offensiva di Khalifa Haftar per la conquista di Tripoli, annunciata in pompa magna il 4 aprile 2019 con le rassicurazioni degli Emirati Arabi Uniti che avevano garantito costanti e corposi rifornimenti di armi, le forze del generale della Cirenaica sono in ritirata. Il “merito” di questo rapido rovesciamento delle sorti della guerra va alla Turchia che negli ultimi mesi, sfruttando la disattenzione della comunità internazionale impegnata a fronteggiare il Covid, ha inviato droni, armi, mercenari e sistemi di difesa anti-aerea capaci di mettere a dura prova i sistemi missilistici della Russia, impegnata a sostegno di Haftar anche con gli ormai noti mercenari del gruppo Wagner.
Che sia stato il massiccio dispiegamento turco a far arretrare l’esercito di Haftar (Lna) o il minor supporto dei suoi alleati, Russia in primis che, nonostante il recente invio di alcuni caccia di vecchia generazione nella base di Jufra, pare sempre più convinta a risedersi al tavolo negoziale piuttosto che portare avanti una guerra senza fine con un alleato di cui si fida sempre meno, quel che conta capire ora è cosa ne sarà della Libia.
Mentre la gente si riversa nelle piazze della capitale per festeggiare la ritirata delle forze del generale dai confini amministrativi di Tripoli, nel cielo della Libia compaiono nuove nuvole all’orizzonte.
In primo luogo è necessario chiedersi se il ripiegamento di Haftar sia il preludio alla pace, per lo meno nell’area di Tripoli e dintorni. La risposta non è necessariamente affermativa. Sappiamo bene, infatti, che una volta che viene a mancare “il nemico comune” le forze che si erano strumentalmente unite contro di lui potrebbero rispolverare ambizioni egemoniche capaci di portare a scontri intestini. Prima dell’avanzata dell’Lna, per esempio, c’erano vistose crepe tra al-Serraj, leader del Governo di accordo nazionale (Gna), e i gruppi di Misurata, la potente città-Stato che con le sue milizie ha battuto lo Stato islamico a Sirte nel 2016 e da lì ha sempre ambito a un ruolo di primo piano nel Paese.
I misuratini sono fin qui stati preziosi alleati del Gna nel respingere l’offensiva militare di Haftar, ma ora potrebbero chiedere il conto. Non è forse un caso che mentre il premier libico era in Turchia per un incontro con il presidente Erdogan, il “suo” vicepremier Ahmed Maitig era a Mosca per colloqui di alto livello che si sono conclusi con una dichiarazione piuttosto lapidaria: “La Russia è un partner molto importante per la stabilità in Libia”. Nel frattempo al-Serraj ascoltava l’alleato turco dire che “Haftar ha causato un bagno di sangue, sostenuto, tra gli altri, anche dalla Russia, che sarà per questo giudicata dalla storia”. Diplomazia parallela da parte dei due leader libici o ricerca di nuove sponde per rafforzare le rispettive sfere di influenza?
Discorso simile può essere fatto per le milizie libiche, unite dalla causa comune di “salvare Tripoli” ma che ora potrebbero ingaggiare una guerra intestina. È già successo nel 2011 quando il nemico comune era Gheddafi. Una volta morto il raìs i gruppi armati non hanno deposto le armi ma hanno continuato a lottare tra loro per conquistare fette di potere.
Un altro dubbio che riguarda le sorti della Libia si lega al ruolo dei due player esterni che maggiormente si sono scontrati sul terreno negli ultimi mesi, la Russia e la Turchia: il futuro della Libia sarà quello di una spartizione tra Mosca e Ankara come paventato da molti? Partiamo da un assunto. Nessuno fa niente per niente ed è dunque evidente che gli investimenti in armi e soldati portati avanti da Putin e Erdogan in qualche modo dovranno fruttare. La Turchia ha già siglato con al-Serraj un accordo per una zona economica esclusiva che dalle coste della Turchia si estende a quelle della Libia per sfruttare le risorse di gas offshore in un’area che vede forti interessi di Eni, Total e alcune compagnie americane.
Ma il conto potrebbe essere più salato. Il sultano potrebbe anche puntare a installare una base militare nel Paese. Cosa che potrebbe fare anche la Russia, che da sempre aspira a uno sbocco sul mare in Cirenaica. Molto dipenderà dalle carte che i due sapranno giocare nel tavolo delle trattative. Tuttavia parlare di una spartizione tout court della Libia con la Cirenaica sotto il controllo russo e la Tripolitania sotto quello turco potrebbe essere eccessivo. Dobbiamo considerare la complessità dell’ex Jamahiriya: un Paese di notevoli dimensioni fatto di realtà tribali radicate nel territorio e con un forte ascendente sulla popolazione che neppure Gheddafi riusciva a controllare, specie nella Cirenaica che il raìs, per questo, appellava “la vecchia strega”. Anche il Fezzan sfuggiva al controllo di Gheddafi. Nel 2011 poi la regione, che già durante gli anni del colonnello godeva di una autonomia de facto, ha ulteriormente accentuato forme di autogoverno basate sulla forza militare, sulle strutture di welfare informale e sul controllo del territorio esercitato dalle tribù locali. In un tale contesto sarebbe difficile e costoso per la Russia e la Turchia esercitare un vero controllo territoriale per lungo tempo, operazione che richiederebbe, tra l’altro, la capacità di dialogare con un magma complesso di attori locali.
Resta il fatto la Libia mai come ora è un’intricata matassa in cui si intersecano giochi di potere e frenetiche trattative dell’ultima ora per tentare di sbrogliarla. Il Cairo, da sempre vicino ad Haftar ma ultimamente più al presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, ha proposto un cessate il fuoco su tutto il territorio libico in vigore da oggi, ma difficilmente questo basterà a fermare le violenze nel Paese.
Non resta allora che sperare che le cancellerie europee aprano gli occhi e capiscano, dopo quasi 10 anni di instabilità e conflitti, che la guerra costa, logora e può avere gravi effetti collaterali come, ad esempio, il proliferare di organizzazioni jihadiste. A volte è più conveniente trovare una soluzione comune, in questo caso negoziando inevitabilmente con Russia e Turchia. Non si tratta di spirito di unità, che in Europa fin qui non è mai esistito, ma della pragmatica presa di coscienza che una Libia stabile può favorire l’interesse nazionale di tutti gli Stati europei.