Ill Tribunale di Roma ordina l'immediata riapertura della pagina Facebook di CasaPound
Che Facebook non conti niente dal punto di vista politico lo si sapeva già, vista la montagna di fake news politiche ogni giorno vi vengono pubblicate. Conta, e tanto da quello economico, ma anche questo si sapeva. Lo conferma la sentenza del Tribunale Civile di Roma che ha dato ragione a CasaPound contro il colosso di Mark Zuckerberg per aver chiuso la pagina ufficiale dell’associazione di destra, accusata di neofascismo. Il Tribunale ordina l’immediata riapertura della pagina e condanna il social a pagare anche i danni: 800 europeo ogni giorno in cui la pagina è stata chiusa e anche “condanna FACEBOOK IRELAND LIMITED alla rifusione delle spese di giudizio sostenute da ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE CASA POUND ITALIA e DAVIDE DI STEFANO, liquidate in complessivi € 15.000,00, oltre spese generali ed accessori come per legge”. Non male. Sempre nella sentenza si legge che quello tra CasaPound e il social “non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto FACEBOOK, ricopre una speciale posizione”. E deve dunque rispettare i principi costituzionali.
LA SENTENZA
Si tratta di una principio di libertà politica: privando Casa Pound della sua pagina, Facebook, si legge ancora, viene privata del principio di pluralismo politico “il rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali costituisce per il soggetto FACEBOOK ad un tempo condizione e limite nel rapporto con gli utenti che chiedano l’accesso al proprio servizio”. Quindi anche i neofascisti hanno diritto al loro spazio. Non fa una grinza e quello che viene da pensare è che Facebook non ha nessun diritto di giudicare chi va censurato o no, benché Zuckerberg abbia speso fiumi di parole per dire che loro condannano certe espressioni, cosa che forse spetterebbe ai magistrati italiani, ma alla base, se CasaPound cioè è una normale organizzazione politica come tutte le altre. E’ stato riaffermato il primato del diritto e della libertà di espressione, cosa che Facebook non può fare.