CASO COSPITO E DONZELLI/ Quel fuoripista su anarchici e Pd che non piace neppure a Nordio
Con il suo intervento politico anti-Pd sul caso Cospito, Donzelli (FdI) ha spinto Meloni e Nordio su posizioni scomode

Fino a ieri il caso di Alfredo Cospito era soltanto una grave vicenda giudiziaria con una venatura politica. Era il caso di un anarchico di 55 anni condannato in Cassazione con l’accusa di strage contro la sicurezza dello Stato – un reato che prevede la pena dell’ergastolo ostativo, cioè privo di benefici – e detenuto dal maggio 2022 (guardasigilli Marta Cartabia) in regime di 41 bis per evitare che dalla sua cella continuasse a tenere le redini delle attività anarchiche.
È il primo anarchico recluso al 41 bis, una misura finora riservata a mafiosi e terroristi tesa a impedire contatti con l’esterno. Da 100 giorni Cospito è in sciopero della fame per protestare contro la detenzione dura. Una protesta, dunque, che non ha preso il via nel momento in cui è stato posto in isolamento speciale (cioè otto mesi fa), ma nei giorni in cui si è insediato il governo Meloni.
Dopo l’intervento di Giovanni Donzelli (FdI) ieri a Montecitorio, tuttavia, la parte politica del caso Cospito ha preso il sopravvento sul resto. Finora il braccio di ferro aveva riguardato l’opportunità di applicare un regime penitenziario così severo, le condizioni di salute del recluso e le dichiarazioni programmatiche del governo Meloni che hanno sbarrato la strada alla revisione dell’ergastolo ostativo. Giorgia Meloni e il guardasigilli Carlo Nordio hanno avuto buon gioco nell’osservare che Cospito è al 41 bis non per una vendetta dello Stato, ma per una decisione presa mentre era in carica il precedente Governo, nel rispetto della legge, e con un ministro tra i più garantisti della storia repubblicana.
Ma Donzelli ha spostato l’asse della polemica altrove. Ha detto che “Cospito è un influencer che usa la mafia per far cedere lo Stato sul 41 bis”. E in questa opera di pressione nemmeno troppo occulta avrebbe addirittura l’appoggio del Pd. A metà gennaio, ha rivelato Donzelli, tre parlamentari democratici (Debora Serracchiani, Walter Verini e Andrea Orlando) sono andati a trovare Cospito in carcere – un atto che in realtà è una prerogativa di ogni parlamentare – accusandoli però di essere andati a “incoraggiarlo nella battaglia”. “Voglio sapere”, ha urlato Donzelli, “se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia”.
Da ieri, dunque, il caso Cospito è diventato il caso “Pd mafioso”, per giunta gravato dall’ombra di un giallo. Il Pd infatti ha chiesto dove Donzelli avesse preso le informazioni sulle conversazioni riservate avvenute in carcere. E così ha fatto balenare l’ipotesi di un ruolo dei servizi segreti nella vicenda, visto che il giovane deputato di Fratelli d’Italia è vicepresidente del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sugli 007. Alle proteste dei dem ha fatto seguito la richiesta di un Giurì d’onore per fare chiarezza sulle affermazioni di Donzelli, cosa che il presidente di Montecitorio, il leghista Lorenzo Fontana, ha accolto subito. Anche il Pd dovrà sgombrare gli equivoci sulla visita in carcere.
Fontana non ha dato una mano a Donzelli. Pure il ministro Nordio ne ha preso le distanze, sottolineando che “le visite in carcere sono un diritto/dovere dei parlamentari” e aggiungendo di escludere “in via assoluta che ci siano rapporti tra i parlamentari, non solo del Pd, e la mafia”. Da Lega e Forza Italia, che pure sono partiti “law and order”, la difesa di Donzelli è stata molto blanda. Un problema in più per Meloni e Nordio, che ora vengono anche spinti da Donzelli molto a destra, lontano da quel partito conservatore europeo al quale la Meloni ha detto di volere dar vita.
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