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Home » Cronaca » CASO COSPITO/ Ecco perché la legge sulle Dat non può essere piegata al suo ricatto

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CASO COSPITO/ Ecco perché la legge sulle Dat non può essere piegata al suo ricatto

Cospito con il suo avvocato Rossi Albertini sta manipolando il consenso informato. Non è un malato incurabile, ma un uomo che esercita una pressione politica

Paola Binetti
Pubblicato 13 Marzo 2023
Alfredo Cospito, corteo anarchici

Corteo anarchici a Torino per Alfredo Cospito (LaPresse, 2023)

Il caso Cospito, con il digiuno prolungato a cui Alfredo Cospito si è sottoposto da mesi per richiamare l’attenzione dei decisori politici sul 41 bis, occupa e preoccupa per molteplici ragioni l’attuale Governo. Ma, oltre alla questione del 41 bis è sorto recentemente anche il problema del rifiuto di Cospito a sottoporsi alla nutrizione parenterale, che sta diventando sempre più necessaria con l’aggravarsi delle sue condizioni fisiche.


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La scorsa settimana il medico legale, consulente di parte della difesa dell’anarchico che si trova nel reparto di medicina penitenziaria dell’ospedale San Paolo a Milano, ha affermato che Cospito “ha perso ulteriormente peso e, da questo punto di vista, la situazione si sta facendo grave”. Il punto di riferimento dell’avvocato di Alfredo Cospito è l’art. 4 della legge 219 del 22 dicembre 2017, entrata in vigore il 31 gennaio 2018, in cui si parla della assoluta necessità del consenso informato del paziente prima di essere sottoposto a qualsiasi trattamento di tipo sanitario. Proprio in questa logica è stato immaginato il “testamento biologico”, nella previsione che una persona, per ragioni diverse, possa non essere più in grado di esprimersi autonomamente.


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Ma il vero punto critico a cui implicitamente fanno riferimento sia l’avvocato che il medico legale di Cospito è contenuto nell’articolo 1 co. 5 e 6 della legge 219/2017, dove si afferma che il paziente “ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso” e di revocare in qualsiasi momento (…) il consenso prestato”, sulla base del quale è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico. Nutrizione e idratazione artificiale sono da considerarsi trattamenti sanitari. Il medico deve rispettare la volontà del paziente ed è “esente da responsabilità civile e penale”.


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Si tratta di un passaggio della legge molto delicato e fortemente criticato durante il dibattito parlamentare, perché il rifiuto di trattamenti considerati generalmente “salva-vita”, come la nutrizione e l’idratazione, può facilmente condurre alla morte del soggetto, in quello che appare a tutti gli effetti come un vero e proprio suicidio assistito, anticamera diretta dell’eutanasia.

Su questo punto critico è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale, numero 242/2019, emessa in occasione della nota vicenda Cappato sul caso del dj Fabo. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 580 del Codice penale che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio con pene tra i 5 e i 12 anni di carcere e ha chiesto al Parlamento di intervenire con una ulteriore norma per risolvere l’ambiguità degli articoli 1 e 4 della legge 219/2017, che contengono implicitamente un alto rischio di far approdare il soggetto al suicidio assistito e quindi a quell’eutanasia per la quale in Italia non c’è – e speriamo non ci sarà – una legge.

Avendo Cospito affermato che non intende sottoporsi a nessun trattamento che presupponga nutrizione e idratazione artificiale, il ministero della Giustizia ha rivolto al Comitato nazionale di bioetica un quesito sull’interpretazione e applicazione della legge 219/2017. Cospito infatti aveva consegnato al suo avvocato, Flavio Rossi Albertini, una disposizione anticipata di trattamento in cui rifiutava l’alimentazione forzata. La lettera era stata inoltrata anche al Dap. In definitiva: bisogna riconoscere a Cospito il diritto al suicidio assistito, come previsto dalla legge sulle Dat con il rifiuto della nutrizione parenterale, oppure la sua vita va tutelata e garantita, nonostante abbia espresso il rifiuto della alimentazione forzata?

Il Comitato di bioetica, a maggioranza, ha affermato che il medico “non è esonerato dal salvargli la vita”, se questa è in pericolo. Nel suo documento di risposta il Comitato premette di condividere il “rifiuto di adottare misure coercitive contro la volontà attuale della persona”, tuttavia, la maggioranza dei componenti (19 su 33) ritiene che potrebbe essere alimentato in modo artificiale nel caso non fosse più in grado di manifestare la propria volontà. E ha ricordato che la stessa Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha sostenuto di recente che né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna”. Il Cnb afferma che “le Dat sono incongrue, e dunque inapplicabili, ove siano subordinate all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della L. 219/2017”.

In questo caso l’ottenimento di beni sarebbe l’annullamento del regime di carcere duro. Cospito, secondo l’attuale maggioranza del Comitato, non è un malato incurabile, ma un uomo che ha deciso di portare avanti uno sciopero della fame per ottenere l’annullamento del 41 bis. E questa forma di lotta non violenta, condotta sempre per protesta, basta per privarlo del diritto di scelta sull’alimentazione forzata e i trattamenti salvavita. Il principio di rango superiore è la difesa della vita. Tanto più nel caso di una persona affidata allo Stato come un recluso.

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Tags: EutanasiaAlfredo Cospito

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