Il rischio di sviluppare una forma grave di Covid può essere una questione genetica. In particolare, potrebbe dipendere da quali geni abbiamo ereditato dai nostri antenati. È quanto emerge da uno studio dei ricercatori Hugo Zeberg del Karolinska Institutet di Stoccolma e Svante Paabo del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia. Sono gli stessi che avevano scoperto un gene, tramandato dai Neanderthal, che aumentava le probabilità di ammalarsi in modo grave di Covid. Ora ne hanno scoperti tre che invece ne riducono il rischio. Dalla ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Pnas, è emerso che questi tre geni ridurrebbero le probabilità di sviluppare una forma grave della malattia di circa il 22%. I geni si trovano uno accanto all’altro sul cromosoma 12. Si tratta di un grande pezzo di materiale genetico che comprende 75mila singoli “pezzettini” di Dna.
Gli studiosi hanno confrontato il Dna di 2.200 malati gravi di Covid che hanno ereditato i geni di tre uomini di Neanderthal vissuti rispettivamente 50mila, 70mila e 120mila anni fa. Così hanno scoperto che chi ha le versioni di Neanderthal dei geni OAS1, OAS2 e OAS3 aveva meno probabilità di sviluppare sintomi gravi.
“CHI HA GENI DI NEANDERTHAL VULNERABILE AL COVID”
Questi geni producono enzimi che attaccano il coronavirus. Dunque, non è sempre un male aver ereditato i geni dell’uomo di Neanderthal, dipende quali. Il tratto sul cromosoma 12 è quello più vantaggioso nel ridurre il rischio di contrarre una forma grave del Covid, ma anche quella più comune. Anche l’Istituto Mario Negri di Bergamo si è chiesto come mai alcune persone si ammalino gravemente di Covid, mentre altre sembrano protette dal coronavirus. Lo studio si chiama “Origin” ed è attualmente in corso. I geni ereditati dai Neanderthal in questi anni sono stati associati al metabolismo dei grassi, inoltre si ritiene che possano influenzare il rischio di sviluppare alcune malattie come lupus, morbo di Crohn e diabete. Ora alla lista delle associazioni si aggiunge il Covid. Dipende però da quali sezioni di Dna si ereditano. Una conferisce resistenza alla forma grave della malattia, l’altra invece maggiore suscettibilità. Avere una copia dell’aplotipo, che si trova sul terzo dei 46 cromosomi posseduti, raddoppia il rischio di finire in terapia intensiva. Chi ha due copie, una per ogni genitore, corre un rischio ancor più alto. Ma questa “sfortuna” genetica non è distribuita in modo uniforme. In Bangladesh il 63% della popolazione ha almeno una copia, in Europa invece il 16%. Molto raro in ampie zone dell’Asia orientale, è praticamente assente in Africa.
IL RUOLO DELL’APLOTIPO
Non è chiaro cosa faccia l’aplotipo, ma un gene al suo interno codifica una proteina che interagisce con i recettori cellulari che il Sars-CoV-2 usa per entrare nelle cellule. Dunque, si pensa che sia coinvolto anche nella produzione delle citochine che aiutano a regolare il sistema immunitario. Ma se la risposta è troppo aggressiva, si rischia di ottenere l’effetto opposto. L’aplotipo che invece si trova sul cromosoma 12 ha invece un effetto protettivo. Per questo in Italia si è deciso di aprire questo fronte di studio per capire perché alcuni paesi sembrano essere stati colpiti più duramente di altri. La questione però non è semplice, perché influiscono tanti fattori: età, sesso e obesità, ad esempio. Di sicuro capire questo meccanismo può essere utile per lavorare a farmaci specifici e per capire chi è più vulnerabile onde evitare di essere sopraffatti da altri virus.