Militanza ma realismo: da perfetto allievo dei gesuiti. Dunque l’esercito per gestire il piano vaccinale, perché è realistico che sia la logistica militare quella più efficiente e operativa per lo Stato. E più soldi per i ristori, perché non ci si chiama Draghi per niente, e se un Conte qualsiasi riesce a varare scostamenti per 100 miliardi, uno come l’ex presidente della Banca centrale europea può ben vararne un’altra cinquantina, o quanti saranno.
È profondo il senso del discorso tenuto ieri dal presidente del Consiglio al centro vaccinale di Fiumicino.
Il premier non sta correndo per farsi rieleggere. Questo che un tempo (lontano) era il massimo onore che potesse capitare a un cittadino, non lo ha mai riguardato e di certo non gli interessa: no, lui deve ottenere il massimo nel minimo tempo possibile sul fronte dei vaccini, dei ristori e poi dell’afflusso sollecito e integrale dei soldi del Recovery Fund: il tutto in un anno, al massimo due. Non c’è spazio per perdersi in chiacchiere o per raddrizzare le gambe ai cani, tipo far lavorare tutti gli statali, compresi i fannulloni: e dunque si avvia la riforma della pubblica amministrazione premiandoli (comprandoli?) con un aumento contrattuale che suona grottesco, se si considera che gli unici lavoratori dipendenti a non aver sofferto le ristrettezze della cassa integrazione e a non aver mai patito l’ansia di perdere il posto in questo anno di pandemia sono stati proprio loro, gli statali. E anche questo è realismo.
Ma poi è a loro, ai sindacati che Draghi in cambio della concertazione chiede solidarietà, e questa è militanza; ma chiedere puntualità, meritocrazia, rispetto degli orari e senso del dovere sarebbe stato troppo rischioso. E questo è realismo.
Realistico è anche disegnare un bel progetto di riforma del processo civile, militante dire che va attuata, realistico sapere che non sarà così, militante non ammetterlo e fingere di credere che sarà varato, facendo sì che anche l’Europa ci creda; ed è, ancora, militanza pura affermare che anche il processo penale verrà riformato, ma poi realisticamente differendo l’inizio della riforma alle calende greche, cioè dopo la riforma di quello civile, che a sua volta chissà mai quando sarà fatta, e dunque l’obbrobrio vomitevole voluto dai 5 Stelle, la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, ce lo teniamo buono e caro.
Draghi è un fine conoscitore della macchina pubblica nazionale. Aver fatto per dieci anni, quasi undici, il direttore generale del Tesoro negli anni Novanta è come aver fatto l’amministratore delegato di metà Paese. Conosce perfettamente i limiti, tanti, e le possibilità, poche, di azione veloce e incisiva delle strutture del Paese.
Si è giustamente compiaciuto che nelle ultime due settimane, le prime del mese di marzo (lui ha giurato il 13 febbraio) la media di somministrazioni giornaliere è stata doppia delle due settimane precedenti, giungendo a quota 170mila al giorno. I vaccini che ci sono, iniziano ad essere somministrati. E lo saranno sempre di più.
E dunque? Dunque Draghi sa di non poter far miracoli – da credente, li considera rarissimi e tutti patrimonio di Uno soltanto – e si concentra sulle cose che può fare, consapevole però di dover accettare e utilizzare le regole del gioco, quelle che prescrivono a un bravo premier di assecondare l’Unione Europea con le sue richieste, se non a fatti almeno a chiacchiere: le chiacchiere forbite che il suo governo farà sulle riforme impossibili.
Il Sole 24 Ore di ieri titolava a tutta pagina la sua copertina dicendo che le Regioni hanno utilizzato storicamente il 48% dei fondi europei: è questa, poche chiacchiere, l’Italia che Draghi deve portare per mano a raccogliere da Bruxelles il panierino – enorme paniere, in realtà – della merenda. Preso il paniere grazie a Draghi (ma in verità anche grazie a Conte, che ne aveva ben negoziato l’entità: riconosciamoglielo), saranno altri a spenderne il ricco contenuto e, in seguito, altri ancora a dover gestire i rimborsi dei debiti.
Forse ce la faranno, almeno Draghi s’impegnerà in tal senso se lo eleggeranno presidente della Repubblica: ma senza responsabilità politica. E probabilmente, in cuor suo, senza troppe speranze. O forse non ce la faranno.
L’Europa lo sa: sa che senza Italia non sta in piedi, e quindi la sorregge; ma se aspetta che l’Italia si metta davvero in riga, sta fresca. Ecco perché la sta finanziando e la finanzierà, perché le occorre farlo e perché questi finanziamenti, sia chiaro, delle due l’una: o rientreranno bene e presto, ma nessuno ci crede; o non rientreranno, e allora riveleranno la loro seconda natura: quella di essere la corda alla quale l’Unione impiccherà la sovranità italiana come ha impiccato quella greca.
Guai ai vinti, per quanto pingui siano i loro stipendi da burocrati, da magistrati, civili e non, da fannulloni. Da italiani di ieri. E forse di sempre.
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