Il tema dell’espianto di organi senza consenso in Cina è da tempo una questione su cui hanno acceso i riflettori diversi organi di stampa e associazioni umanitarie. E contestualmente all’esplosione dell’emergenza Coronavirus nel Paese del Dragone (che pian piano ne sta uscendo) e con gli Stati occidentali in piena crisi torna di attualità soprattutto in merito a una sospetta disponibilità da parte del Governo presieduto da Xi Jinping: il sospetto è che dietro la versione ufficiale delle “donazioni” in realtà vi si nasconda la pratica del prelievo degli organi da alcuni oppositori politici rinchiusi nelle carceri cinesi. Al momento non esistono prove certe ma il fatto che in passato venisse attuata sistematicamente questa pratica fa sorgere più di qualche dubbio e anche se esistono dei protocolli internazionali di tracciabilità qualche ombra permane sul sistema sanitario che fa capo a Pechino dato che il controllo centralizzato di questo settore fa sì che alcune operazioni possano essere passate sotto il radar di chi come DAFOH, associazione internazionale che promuove comportamenti etici nella Medicina e che raccoglie dei medici che lottano contro il prelievo forzato di organi, ha sollevato delle domande in merito ad almeno dieci casi.
CINA, DONAZIONI SOSPETTE DI ORGANI: PRELIEVO COATTO DA DISSIDENTI IN CARCERE?
Sotto la lente di ingrandimento è finito un intervento eseguito da una équipe medica guidata dal dottor Chen Jingyu Liang Tingbo, luminare del settore, a cui poi ne sono seguiti altri databili tra l’8 e il 10 marzo scorso. Sospetta è in questa “filiera” che ha visto gli organi trasportati poi per via aerea è stato il contributo di un team del “First Affiliated Hospital” che fa capoto alla Scuola di Medicina della Zhejiang University: del misterioso donatore della provincia di Hunan si sa poco mentre desta sospetti la disponibilità repentina, quasi come se in alcune situazioni vi fosse la possibilità di reperire subito occhi, reni, cuore e altri organi. Secondo Nadine Maenza, vicepresidente della USCIRF (una commissione statunitense che si occupa di tutelare la libertà religiosa a livello internazionale), l’unica spiegazione in un Paese con solo 1,35 milioni di donatori ufficiali a fronte di una popolazione di quasi un miliardo è mezzo è che sia diffusa la pratica della predazione coatta. Non a caso molti dei dati di questi donatori non sono facilmente tracciabili nonostante questo sia compito del CORTS, un sistema informatico che dovrebbe garantirne la trasparenza. Eppure, nonostante si pensasse che questa pratica facesse parte del passato, l’emergenza legata al Covid-19 potrebbe aver fatto bypassare questi controlli in una serie, seppur limitata ma comunque gravissima, di casi.