BASILICATA COAST TO COAST/ Un “futile” viaggio da rivedere per una nuova caccia alla verità

- Maria Luisa Bellucci

A un anno di distanza, il sapore di Basilicata coast to coast non delude. MARIA LUISA BELLUCCI ci spiega perché vale la pena rivedere questo film

Basilicata_Coast_to_CoastR400 I protagonisti di Basilicata coast to coast (Foto Ansa)

A un anno di distanza, il sapore di Basilicata coast to coast non delude. Divertente e genuino, dolce e aggraziato, il primo film di Rocco Papaleo dietro la macchina da presa è unelegia delle terre lucane al suono del jazz. Una storia on the road, che inizia a Maratea e finisce a Scanzano Jonico. Quattro amici e componenti di un gruppo musicale, un carretto e un cavallo bianco.

Nicola (Rocco Papaleo), che insegna la matematica in un liceo artistico, ma respira il mondo di sogni che si nasconde dietro le note. Franco (Max Gazzè), ricci folti e neri, occhiali da vista e un silenzio che suona la musica del dolore per un amore che non cè più. Salvatore (Paolo Briguglia), un tempo studente di medicina con il vizio di non credere nelle proprie capacità e che ora abbraccia una chitarra come fosse la donna che gli ha strappato la voglia di amare. E poi cè Rocco (Alessandro Gassman), alto, muscoloso, la promessa lucana della televisione, che crede nelle false rime dello spettacolo alla ricerca di un briciolo di notorietà.

Partono tutti insieme, strumento alla mano, per inseguire la pazza – ma non troppo folle – idea di raggiungere Scanzano Jonico da Maratea a piedi. Un passo dopo laltro, come se ogni impronta lasciata sulla strada impolverata fosse un modo per accorciare le distanze nel viaggio alla riscoperta di sé. Attraverso le note, accordate al sapore della terra selvaggia della Basilicata. Le tradizioni, ancora vive nei piccoli centri, siano esse popolari o familiari, un tuttuno con i colori intensi e veraci della rotta desueta che li porta verso lo Ionio. Due mari divisi e accomunati dalla stessa terra, quasi una metafora per chi cerca di capire cosa fare della propria vita.

Un cuore spezzato, una vita a metà, che ritrova senso anche nei compagni di viaggio. Ognuno di loro ha un vuoto. Anche Tropea (Giovanna Mezzogiorno), che, seppur figlia di un onorevole, lavora come giornalista per un piccolo giornale parrocchiale. Vittima di un senso di inadeguatezza, fastidio ed estraneità verso le circostanze cui è costretta, quello che le manca è la spontaneità di sorridere alla vita, cogliendone il lato imprevedibile che si può nascondere nell’arcobaleno che il dolce Franco le regala con un gesto. È così che Tropea, Salvatore, Franco, Rocco e Nicola si spogliano di tutto. Delle loro vecchie esistenze, fatte di un poco di menzogna, per abbracciare il senso di novità.

Tutto sembra complicato, inutile e folle, da principio. Ma quella scena iniziale in cui Nicola rimprovera i suoi alunni, che, studenti di un liceo artistico, snobbano la matematica ritenendola insignificante, ci dice il contrario. Come il loro viaggio. Forse è futile, ma se non servirà loro a capire chi siano realmente e dove stiano andando nella vita, quanto meno li aiuterà a realizzare chi effettivamente non sono.

Bellissima la scena finale. Ogni dubbio si scioglie al suono della pioggia e del jazz in una piazza vuota, ma colma di poesia alla luce di un nuovo giorno. Ciascuno di loro riscopre la propria verità. E la scintilla che non brillava all’inizio del viaggio ora è accesa e vitale.







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