A volte ci sono domande che resistono nel cuore e nella testa di noi figli e non se ne vanno. Domande che vorremmo fare a nostro padre o nostra madre. Per trovare risposte di cui forse abbiamo paura. Così le nascondiamo come polvere sotto il tappeto, determinando landamento di una vita magari felice, ma zoppicante. Perché cè un vuoto, unombra che ci insegue. Poi arriva il Momento. Quello della resa dei conti, del confronto. Che non per forza deve essere feroce e doloroso. Un atto daccusa di noi figli verso i nostri genitori. Può avvenire anche naturalmente e spianare la strada a un rapporto enigmatico fino a quel momento. Il tassello che sistema ogni cosa. Ogni emozione e ogni gesto non compiuto. O quelli a cui ci si è aggrappati perché così doveva essere.
quello che ci racconta Robert Lorenz, dai tempi de I ponti di Madison County al fianco di Clint Eastwood, nel suo Di nuovo in gioco. Che tra i suoi interpreti annovera il mitico Clint regalandogli un ruolo che sembra tagliato su di lui e che strizza locchio al vecchio burbero di Gran Torino. Eastwood è Gus, scout del baseball impegnato a individuare i talenti da instradare verso la carriera dei grandi. Ma è ormai anziano, oltre che tremendamente scontroso, e lessere considerato uno dei migliori in campo quasi non gli basta più a mantenere intatto il suo spazio di rispetto e autonomia di giudizio. Oltre al fatto che non ammette di avere un problema serio. Che ha a che fare con la vista, ma che lui si rifiuta di gestire.
Entra in gioco, così, sua figlia Mickey (Amy Adams). Rossa e tosta come lui. Una giovane e bella donna in carriera che punta in alto in un ambiente di soli uomini, quello di un importantissimo studio di avvocati. Sapendo che ha i numeri per convivere tra loro sia per intelligenza che per educazione. Per anni, infatti, dopo la prematura scomparsa della madre, aveva accompagnato il padre sui campi da baseball allinseguimento dei talenti perfetti e ora ci ritorna per aiutare lui, Gus, che non ci vede più abbastanza da poter, a detta degli altri, esprimere giudizi insindacabili.
Due personalità forti e coriacee, che non si arrendono, sfidando la fatica e gli oggettivi ostacoli. Ciascuno di loro ha la propria guerra da combattere. Gus, appunto, quella dell’età che non perdona. Mickey quella di riuscire ad amalgamare le imminenti e fondamentali scadenze di lavoro con i giorni trascorsi ad aiutare il padre. E poi c’è una guerra che combattono insieme. I fantasmi del passato sono i nemici. Forse l’eccesso di amore di un padre incapace di dimostrare nel modo giusto – ammesso che uno giusto ce ne sia – il suo incondizionato affetto verso la figlia. E quello di una bambina ormai donna che deve fare i conti con l’abbandono paterno subito tanti anni prima.
Un gesto cui non riesce a dare una spiegazione. Perché tutte quelle che le vengono in mente sono sbagliate e dolorose. E hanno determinato la sua vita, almeno finora. Panni che si deve scrollare di dosso, anche se ancora non lo sa. Un ambiente, uno spazio, un legame nuovo che deve imparare a scoprire come un tassello che si incastra perfettamente nella cascata delle sue emozioni. Aspettative da rispettare, sogni incompiuti o semplicemente ignorati. Nel lavoro come nella vita privata. Dove il vuoto, il pezzo mancante deriva sempre da quell’unico grande buco nero del suo passato. Con dolcezza e determinazione Robert Lorenz disegna la parabola ascendente di un rapporto monolitico fino a quando anche le sfaccettature più nascoste escono allo scoperto.
Forse è anche un film sul baseball. O forse il baseball è solo un pretesto. Perché a farla da protagonista sono proprio Gus e Mickey. In una storia che colpisce per la chiarezza e la definizione dei sentimenti. Nulla viene lasciato in ombra, sfumato o solo accennato. Ci si alza compiutamente soddisfatti, insomma dalla sala cinematografica. Rasserenati e appagati. Anche se di note negative ce ne sono almeno due. Clint, che ha perso il suo smalto ed è decisamente troppo uguale al se stesso di Gran Torino. E il modo stesso in cui ci viene raccontata la vicenda. Chiara, sì, ma anche troppo esplicita nella sua finitezza. Forse un po’ più di sottotesto nel racconto e nella messa in scena non avrebbe guastato.