Commedia leggera e decisamente godibile. Questo è Nudi e felici, che si propone con una trama semplice, talvolta scontata nel suo fluire, ma non per questo sgradevole. Così come anche i personaggi, che giocano su una psicologia lineare e prevedibile. Non ci saranno, dunque, grandi sorprese o momenti di sentita affezione verso la storia e i suoi protagonisti. Nonostante questo, però, il film di David Wayne merita un’opportunità. Perché colora a suo modo il cielo estivo e per la riflessione che è l’anima della pellicola.
Che cos’è la felicità? Come può, ciascuno di noi, raggiungerla? Quella vera, si intende. Non il sentimento racchiuso in una elegante scatola preconfezionata o l’atteggiamento esistenziale di spensierata leggerezza. La felicità palpabile. Quella che ci mette in crisi quando ci si accorge di non possederla e chiede si faccia di tutto per ottenerla. Scavalcando i propri limiti – o quelli che si ritenevano tali. Mettendosi in discussione. Scavando dentro di sé e sfogliando gli strati di finta pelle che, per circostanze sociali o personali, si è costretti a indossare.
quello che succede a George e Linda, formichine operose nel brulicante mondo della Grande Mela. La bellissima, costosissima e frenetica NYC. Che carica i suoi abitanti di entusiasmo, sogni e aspettative e chiede loro il conto quasi ogni giorno. Per un attimo – che dura un soffio – George (Paul Rudd) e Linda (Jennifer Aniston) si convincono che comprare casa a New York sia la scelta migliore da fare. La strada verso la felicità. Come se affrontare il ritmo affannoso – ma tremendamente glamour – di questa giungla, che del mondo ne è l’ombelico, non sia già una gara di sopravvivenza. Ci si mette la vita a porre il primo stop.
Alacre lavoratore lui, in cerca dell’Opportunità della vita lei, George e Linda devono fare i conti con un mercato del lavoro competitivo e instabile e, una volta crollata l’impalcatura della loro vita quasi perfetta, resta una sola cosa da fare. Caricare la macchina e ri-partire da un’altra parte. La situazione fuori Manhattan, però, non è meno complicata. C’è l’ipocrisia dell’eleganza in cui vive il fratello di George, un arricchito provinciale grezzo e felice, a suo modo, in una vita dorata. E poi c’è l’Elysium, un B&B dai toni e colori new age. Immerso nel verde e in uno spirito di comunità e condivisione che ribaltano i canoni della società tradizionale, pronto ad accogliere chiunque voglia abbandonare gli schemi del mondo contemporaneo per abbracciare riti di purificazione e di verità, è una tana a metà di fricchettoni e sentimentalisti.
Le apparenze, però, ingannano. E insegnano a Linda e George che la felicità non risiede in luoghi, azioni o persone appartenenti al mondo esteriore, bensì, retorico a dirsi, pone le proprie radici dentro di sé. In questo la pellicola è certamente scontata. Lo è di meno nella reazione che i due ragazzi hanno quando si trovano nudi di fronte allo specchio di sé. Nudi e disorientati, perché nel lasciar andare le sovrastrutture mentali e sociali cui convenzionalmente ci si adegua, si vedono per la prima volta per quello che sono. Raccontandosi reciprocamente verità scomode.
Messa da parte questa retorica, il film di David Wayne si riprende vagamente nel finale. Con un tocco tutto americano che volge lo sguardo a un happy end appagante – per spettatori e protagonisti – contro un ipotetico finale amaro, seppur nella commedia, di sapore europeo, George e Linda trovano la loro personale e sincera strada verso la felicità. Cadono, ma si rialzano e corrono verso una prospettiva nuova della loro vita che non nega le loro abitudini precedenti, ma semplicemente le trasforma.