Treno di notte per Lisbona, il film di Bille August, è un’occasione mancata. Se ne coglie l’intenzione, certamente valida, ma nei fatti il potenziale perde di vigore. Tutta colpa della scrittura, trasposizione del libro omonimo di Pascal Bercier, che propone una storia lineare, priva di particolare guizzi drammaturgici. Anzi, talvolta l’intelaiatura inceppa in buchi o facilonerie strutturali non così gravi, ma comunque evidenti.
Chiariamo. I film perfetti esistono, ma se in generale sono una rarità, oggi giorno se ne è persa quasi traccia. Treno di notte per Lisbona, comunque, in qualche modo si difende. Sicuramente nell’idea di base. Quella che porta lo stanco professor Raimund Gregorius (Jeremy Irons) a scivolare sul treno del caso per scappare alla monotonia della sua vita a Berna.
Una mattina, infatti, sul percorso verso scuola salva una ragazza che stava per gettarsi dal ponte. La porta con sé in classe, ma poco dopo la giovane e impaurita donna scompare. Lasciando dietro di sé un libro e un biglietto per Lisbona. Era quello che, a suo modo, stava aspettando Gregorius. L’occasione per nascondersi dalla sua appesantita esistenza. E il caso è generoso con lui, perché il libro che raccoglie affronta domande che lo hanno sempre affascinato, trasformandosi, così, nel motore del cambiamento.
Il valore del presente e del passato, il coraggio di fare una scelta che assecondi la propria libertà di espressione anche, e soprattutto, se questo significa abbandonare ciò che si è stati finora. Inizia, così, la ricerca dapprima della donna e poi dell’autore del libro. un attimo e Gregorius è sul treno per Lisbona. Senza niente con sé se non il libro e la voglia di conoscere la storia che lo ha ispirato.
Il suo, com’è scontato, è soprattutto un viaggio interiore per abbattere il muro dell’ovvietà. Della vita comoda e grigia. Cresce pian piano in lui il desiderio di rinascere, di dare nuovo colore e senso alla propria esistenza. Tutto questo va benissimo, se non fosse che la struttura in sé è troppo povera per reggere l’intento quasi nobile del film. La voglia di dire, cioè, allo spettatore, che non si deve avere paura di prendere una direzione diversa da quella su cui si sta camminando.
Il tutto attraverso le giornate di un uomo ormai maturo che riflette sul senso della propria esistenza e sull’eventualità di cambiare percorso per assecondare il proprio desiderio di avventura e inseguire la felicità.
Il ritmo, però, è lento, solo rinvigorito da diversi flashback. A mancare sono i fatti. L’incedere della storia è eccessivamente demandato alle parole di Gregorius, il cui personaggio perde progressivamente di forza e interesse, mentre sempre più curioso è quello di Amadeu, l’autore del libro.
Tra passato e presente il film raccoglie un cast che dovrebbe dar lustro alla storia, ma il risultato è che anche i volti di Jeremy Irons, di Mélanie Laurent e di Jack Huston – nipote della famosa Angelica – si perdono nel grigiore e nella piattezza finale.