Non è divertente, né simpatico – soprattutto agli occhi altrui – essere impietosi. A volte, però, è necessario. Sul perché Maria Sole Tognazzi abbia deciso di fare questo film non abbiamo – e non vogliamo avere – risposte. Brutta, anzi pessima copia di Tra le nuvole, Viaggio sola racconta la vita libera e solitaria di Irene (Margherita Buy), che di lavoro fa l’ospite a sorpresa negli hotel di lusso. Il suo mestiere, cioè, è quello di soggiornare in alberghi da sogno fingendosi una normale cliente, per poi assegnare una valutazione frutto di una precisa e spietata ispezione.
Va da sé che, essendo sempre in giro per il mondo, Irene non abbia nemmeno l’ombra di una vita privata. Al punto che il suo meraviglioso girovagare si pone al limite tra un afflato di libertà femminile e il profondo senso di solitudine che una stanza d’albergo, per quanto sfarzosa, nasconde. un confine molto labile, solo a tratti reso confuso dagli affetti che la aspettano a casa. La famiglia di sua sorella Silvia e il suo migliore amico Andrea (Stefano Accorsi). Che poi è anche il suo ex. Il suo appartamento, invece, è vuoto. Bello, ma vuoto.
A voler essere superficiali e a dimenticarsi l’originale americano del 2009, si potrebbe quasi essere tentati di dire che la storia, in fondo, non è male. Come in ogni circostanza, poi, intervengono i MA. Lasciamo per un attimo da parte Tra le nuvole. Buona parte di Viaggio sola (ottanta per cento?!) è ambientata negli alberghi. E va bene. Non fosse che non succede nulla. Se non il solito e alla fine decisamente stancante rituale che vede la Buy impegnata nell’ispezionare la stanza e tutto il resto dell’albergo. Oltre al fatto che a ogni nuovo hotel una scritta in sovrimpressione ci informa sul nome della località e ovviamente su quello dell’albergo. Come dire, a un tratto ci coglie la suggestione di esser di fronte a un mega spottone. Perché ci ci vien da pensare che tutti questi alberghi abbiano dato un contributo economico in cambio di una finestra cinematografica. Magari no, siamo solo maligni. Resta il fatto che sembra di essere andati a vedere una ben fatta pubblicità.
Quanto alla storia, poi, vien da chiedersi di che cosa si stia parlando. Ovvio, della vita autonoma e indipendente di Irene, una bella donna che pare aver scelto la libertà che un lavoro come il suo le riserva. Non ci sono apparenti pentimenti. Se non quegli sguardi languidi di malinconia che solo la Buy sa interpretare. Appunto, solo sguardi. Mentre di episodi che dentro la storia ci facciano cogliere il suo tentennamento ce ne sono due e sono pure raccontati superficialmente. Ecco.
La trama e i personaggi mancano totalmente di profondità e di emotività. Il che li rende non tanto piatti, quanto insignificanti. Soprattutto perché la loro caratterizzazione in alcuni casi scade nella “macchietta”. Anche questa è un’arte e non basta essere la figlia di Ugo Tognazzi per saperla praticare. Ci dispiace essere così duri, ma è inevitabile di fronte a certo cinema italiano. Che nel tentativo di distinguersi e distanziarsi da quello maggiormente nostrano si perde nella nebbia in cui si confondono il cinema dal sapore esterofilo – ma bisogna saperlo fare – e quello più bassamente italiano e legato alle caricature.
Allora ripensiamo a Irene/Margherita Buy e ci diciamo che in fondo, però, il modo in cui la Tognazzi ci propone la questione della libertà e indipendenza femminile può essere nuovo (sempre se ci dimentichiamo l’impronta “dell’originale”, anche se in Tra le nuvole il tema della libertà da qualsiasi vincolo era spartito tra due protagonisti, uno maschile – George Clooney – e uno femminile – Vera Farmiga).
Peccato che Irene, nel breve lasso di tempo in cui si chiede se questo stato esistenziale sia per lei ancora sopportabile, sembra non tanto aver accettato la sua condizione, quanto non essere in grado di scegliere altro. Non bastano, insomma, una fotografia patinata e il bel viso di Stefano Accorsi per dar lustro al film.