In un Paese che gira al contrario, l’Italia, succede anche questo. Che le leggi si incartino e scontrino con una realtà molto più forte ed evidente del semplice legiferare. Questa è la storia di Said (raccontata nel film Sta per piovere), ventisei anni e un cuore algerino di origine, ma che batte italiano da sempre. Forte, caparbio e duro, in qualche modo. Lui che è nato e cresciuto a Firenze, parla marcatamente toscano e canta a squarcia gola l’Inno di Mameli, con il viso dipinto dei colori della nostra bandiera, quando le circostanze sportive glielo chiedono. Lo fa perché lo sente, non per piaggeria. Eppure, nonostante la sua indiscussa italianità, all’improvviso sbatte contro un muro di gomma. Le leggi inappellabili di un’Italia provinciale e a tratti anacronistica.
Suo padre, causa la crisi, perde il posto di lavoro e con esso il permesso di soggiorno che da trent’anni legava lui e la sua famiglia all’Italia. Con un’unica soluzione. Il decreto di espulsione che impone a Said e ai suoi di tornare nel suo Paese di origine, l’Algeria. Inizia, così, una dura battaglia legale che vede il giovane in prima linea per difendere i diritti di chi, come lui, è un italiano di seconda generazione. Anzi, di seconda categoria, già solo per il fatto di appartenere, in astratto, a una cultura e religione diversi.
Tratto da tutte quelle storie vere che popolano i nostri giorni, Sta per piovere nasce dallo sguardo sensibile e devoto alla causa di Haider Rashid, di padre iracheno e madre italiana. Una vicenda, quella di Said, che merita di essere seguita e accolta, nel panorama di un cinema coccolato da super eroi e di un Paese troppo impegnato a uscire dal fango per focalizzare l’attenzione su urgenti questioni contemporanee.
Sullo sfondo di una Firenze autentica e popolare, lontana dallo splendore artistico e turistico noto a tutti, la regia di Rashid procede imbevuta di realismo quasi commovente. Non è la città la protagonista. Nemmeno l’Italia. Tutto si concentra attorno a Said, alla sua vita, alla sua lotta e agli amori che lo legano alla sua terra, l’Italia, appunto.
Rashid è bravo nel porre domande, non tesi. Non si fa, cioè, portatore di una polemica verità assoluta. Racconta un fatto, comune a molti, e si limita a dare a noi spettatori il materiale per interrogarci su alcune priorità. Domande che abbiamo dimenticato, nel corso della Storia, ma che ci hanno accompagnato quando anche noi siamo dovuti scappare dall’Italia per trovare serenità e futuro in un altro Paese.
In base a cosa si definisce, allora, il senso di appartenenza a una terra, a una nazione? C’è chi, come i molti Said, nascono ricchi di umanità. Con alle spalle la cultura di origine e di fronte un presente nato, come loro stessi, in una terra diversa da quella del nome che portano. Come a dire che esistono confini che vanno ben oltre quelli politici e geografici. Confini che raccolgono in un grande abbraccio culture diverse e uguali nello stesso tempo. Che vanno, insomma, al di là del passaporto e di un permesso di soggiorno.
Sta per piovere è la parabola di un antieroe. Di un uomo che lotta per difendere il proprio diritto a continuare a vivere dove è nato e cresciuto. Di un uomo che alimenta lo spirito di questo stesso Paese mentre molti altri cercano di distruggerlo. Rashid ci accompagna in questo viaggio di conoscenza attraverso una regia non timida o distaccata, ma incalzante nel seguire e interpretare la rabbia, il dolore e l’orgoglio di Said. E di farli diventare, così, anche un po’ nostri.