Niente, non c’è nulla da fare. L’estate cinematografica non decolla. Nemmeno con titoli attesi per la star che presta nome e volto alla pellicola. E anche Lone ranger ci casca. Johnny Depp è un richiamo, ma la promessa è mantenuta solo a metà. Perché c’è qualcosa, nonostante tutto, che non quadra. Lui, Depp, è Tonto, un indiano pellerossa grazie a cui il Cavaliere mascherato – il cui mito nasce in tempi lontani – si salva da una feroce imboscata. Così restano loro tre. Tonto, Jhon Reid – alias The Lone Ranger – e il cavallo bianco dell’indiano. Oltre ai cattivi conquistatori.
La storia del Cavaliere mascherato parte molto tempo fa. Negli anni Trenta, per essere precisi, e da quel momento attraversa la serialità televisiva, lo schermo cinematografico, per approdare ai fumetti e ai videogiochi. Insomma, ha fatto un bel po’ di strada per arrivare al 2013. Quando attraverso la collaborazione di Bruckheimer, Verbinsky (rispettivamente produttore e regista) e Depp nasce una rivisitazione del mito. Sullo stile e il tono, non c’è che dire della saga dei Pirati dei Caraibi, frutto della loro precedente collaborazione. Forse è questa la cosa che più infastidisce. Come a dire che alla fine la creatività resta schiava di un’impronta. Non che qui Depp raggiunga i livelli dei Pirati dei Caraibi, ma sembra che sia rimasto intrappolato da un certo modo di interpretare. Oltre al fatto che nonostante il titolo ci dica che il protagonista delle vicende sarà proprio il Cavaliere mascherato, di fatto Depp resta al centro della scena.
Non solo visivamente, ma anche narrativamente. Perché è lui che presta la voce all’inizio del racconto. Come a dire che questa volta il mito sarà spiegato da un altro punto di vista. Quello di Tonto, ovvero di un pellerossa.
Un ritorno al Western, dunque. Con tanto di cattivi, di ferrovie e di dinamite. Di bordelli e miniere.
Uno sguardo malinconico e innovativo, che se da una parte osserva con nostalgia al passato che fu, alle glorie del Western, agli eroi giustizieri e alle colonne sonore che bastavano quelle a fare il film, dall’altra strizza l’occhio a un modo di porsi che non può essere definito se non come Johnny Depp style. Il che, ripetiamo, non è un male, ma di fronte a questa operazione di recupero del mito rischia di inquinare il terreno. Distogliendo l’attenzione sia dal mito stesso sia rievocando con troppa evidenza atteggiamenti, smorfie e toni del Capitano Jack Sparrow.