Scorrono i titoli di coda di Una donna per amica e si resta perplessi. Perché pareva fosse finito il primo tempo, invece sono trascorsi 90 minuti e la storia – così dicono – è conclusa. La delusione che man mano abbiamo raccolto durante lo svolgimento diventa la constatazione che il film non ci è piaciuto. Anche se non era partito male, anzi, e sulla carta la coppia De Luigi-Casta prometteva bene. Oltre al fatto che il titolo lasciava intravvedere la semplicità di una commedia romantica di gusto e soddisfazione. Sicuramente semplice e prevedibile, ma godibile. Quale argomento, infatti, può essere più trasversale e di leggero dibattito dellesistenza dellamicizia tra uomo e donna?
Questo è quello che succede tra Francesco, un avvocato trapiantato a Lecce, e Claudia, la sua migliore amica. Bella, frizzante, libera e genuina, Claudia, mezza italiana e mezza francese, è un continuo fiume in piena che travolge anche Francesco nelle sue avventure e disavventure. Si tratti di sentimenti o della sorella tossicodipendente in recupero che compare e scompare dalla scena assumendo i panni di un post moderno – e a volte posticcio – grillo parlante. Si vogliono bene, loro due, sfiorando i confini di un rapporto che non ha più molto a che fare con lamicizia. Ma si sa comè la vita. Bisogna volerla afferrare quando ti porge la mano e prima che sia troppo tardi.
Non sappiamo quale risposta dia il regista alla domanda del film, se è possibile, cioè, che un uomo e una donna vivano un sincero sentimento di amicizia senza che subentri lattrazione o lamore. Non lo sappiamo perché Veronesi non ce lo dice, buttando lì (è proprio il caso di dirlo) un finale senza prospettive e, soprattutto, non preparato. Si lascia lusingare – almeno così ci sembra – dal gusto di quegli Autori navigati o dallo stile made in Usa, rigorosamente indipendente, per cui tutto è concesso. Si tratti di finali aperti o di svolte drammaturgiche che, per essere assimiliate dallo spettatore, avrebbero bisogno di essere preparate lungo la storia.
A essere onesti tutto ciò è un po irritante. Perché lintento dichiarato del film non è quello di mirare allOlimpo della Settima Arte, sia per tematica che per tecnica. Di conseguenza noi mortali spettatori ci aspettiamo un film umanamente comprensibile, divertente, soddisfacente e appagante. Rivolgiamo, dunque, un appello a Veronesi. Perché ci ha trattati così? Perché ci ha raccontato una storia con la quale ci ha illusi per poi buttare tutto allaria nella scena finale? Perché non ci ha dato indizi che facessero presagire uno stravolgimento così radicale e immotivato? Esatto, immotivato.
Noi spettatori ci siamo sentiti traditi nell’immaginazione che, complice la trama, già ci aveva portato a un lieto fine ben diverso. Vogliamo rassicurare il regista. Nessun epilogo – compreso quello che ha scelto – sarebbe stato banale, purché non estratto dal cilindro come se niente fosse.
Detto tutto ciò, ma non solo per questo, non ce la sentiamo proprio di salvare Una donna per amica. Dopo un inizio divertente e ritmato, il fluido della risata scema senza riprendersi. L’unica ragione per cui il film merita un plauso è la Casta. Brava nella parte della ragazza leggera, libera e genuina che accarezza Lecce in modo lieve. Forse il film sarà ricordato per lei. E per il balletto improvvisato che mette in risalto la sua grazia fragile.