«Ci sono cose troppo vere per essere raccontate: all’insegna di questo ammonimento si svolge la drammatica storia di Gary Webb (interpretato da Jeremy Renner). Portatore di una ferita ancora aperta, il premio Pulitzer del San Josè Mercury News presto dovrà rispondere a questa domanda: la verità vale la vita di un uomo? Un film-documentario intitolato La regola del gioco (regia di Michael Cuesta) diventa, così, portavoce di un incredibile scandalo che, negli anni ’80 del 1900, aveva fatto tremare tutta l’America: i trafficanti di droga, che spacciavano cocaina e crack illegalmente negli Stati Uniti, servivano a finanziare la fornitura di armi alle milizie dei Contras, sostenute dall’amministrazione del presidente Reagan e dalla CIA, nella guerra civile contro il governo comunista di Nicaragua, al fine di ostacolare il dominio russo nel Sud America.
Tratto da una storia vera, il film tematizza l’ascesa, in tre pubblicazioni risalenti all’agosto 1996, di questa “alleanza oscura”: lo sterminio dell’intera comunità afroamericana di South Central e di Los Angeles come prezzo “accettabile” della vittoria americana contro il comunismo, ignorando completamente il divieto promulgato dal Congresso. Nel pieno di una pericolosissima Guerra Fredda, Gary Webb rappresentava il diritto del popolo americano di conoscere la verità, a costo di esporsi in prima persona contro gli organi del potere, nell’intento di far luce anche nei punti più oscuri e più lontani del mondo.
Gli articoli uscivano per la prima volta on-line, con link e video, e in carta stampata per testimoniare non solo una società che entrava nell’era digitale, ma anche la volontà di mettere in discussione l’operato della Sicurezza nazionale e della politica internazionale attraverso una stampa fortemente indipendente e interconnessa al tessuto sociale.
Il film illustra, passo dopo passo, il lavoro investigativo del giornalista. Ciò che stupisce maggiormente è che Gary Webb non aveva contatti con istituzioni di potere come i giornalisti dei grandi media, aventi informazioni fortemente condizionate dall’influenza dello Stato. I montaggi-sequenza riguardo all’ottimo impatto iniziale degli articoli su questa “alleanza oscura” lasciano presto il posto a repentine sovra impressioni, fotografie e video di articoli di giornale dove gli accusatori del giornalista arrivarono a definire “paranoiche” le reazioni degli afroamericani per screditare, in modo inaudito e grottesco, un solo uomo.
I colori più caldi della parte iniziale del film vengono presto sostituiti da colori più freddi per sottolineare il progressivo avvicinamento del giornalista a informazioni segrete e a zone molto pericolose per la sua stessa incolumità. Le scene girate attorno agli attori con una camera a mano riproducono realisticamente il clima angosciante che circonda il protagonista, di spalle e di corsa, attraverso “riprese d’assalto” e cupe soggettive, intrappolato in una “rete di squali”: dai giornalisti invidiosi delle più grandi testate giornalistiche in difesa dei federali, ai boss della droga come Norwin Menses (interpretato da Andy Gracia) che lo sfidano pesantemente nel suo proposito di andare a fondo nella verità, al suo stesso giornale, il San José Mercury News, rappresentato dal capo redazione Jerry Ceppos (interpretato da Oliver Platt) e dalla direttrice Anna Simons (interpretata da Mary Elizabeth Winsthead) che, non essendo preparato a sostenere una simile pressione sulla presunta inattendibilità delle fonti del giornalista, lo abbandona in un sempre più totale isolamento dentro una guerra che da solo non può vincere.
Simbolo di questo fragile contesto emotivo sono, ancora una volta, inquadrature apparentemente informali che provocano come effetto la sgradevole identificazione dello spettatore in una spia che, da una prospettiva privilegiata, individua qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Nel duello contro “il fine che giustifica i mezzi” rappresentato dalla CIA, l’identità, la vita e il lavoro del “coraggio di guardare in faccia la verità a tutti i costi” rappresentato da Gary Webb, sono stati distrutti prima che potessero rendersi conto di quanto avessero ragione.
L’utilizzo di due macchine da presa per sottolineare i dettagli, come i ricordi di Sue Webb, moglie di Gary (interpretata da Rosemary DeWitt), l’aumento di intensità e di suspense per una vita a confronto con il mostro politico che doveva affrontare, l’utilizzo della pellicola, con soluzioni visuali efficaci, per dare più forza allo spirito della storia, sempre attuale anche se relegata al secolo scorso, il contributo interpretativo di attori molto famosi anche per piccoli ruoli ma molto importanti per l’intreccio, hanno prodotto un bellissimo film, fortemente consigliabile, come solenne tributo d’onore alla volontà di non arrendersi mai di fronte a un modo sempre nuovo, libero, ma soprattutto vero di vedere la complessità dell’uomo e del mondo.