RITORNO ALLA VITA/ Il film di Wenders sulla “fame” degli artisti

- Dario Zaramella

Wim Wenders, dopo qualche anno dedicato al genere documentario, torna al cinema narrativo con un film interpretato da James Franco. La recensione di DARIO ZARAMELLA

Ritorno_VitaR439 Una scena del film

Il nome di Wim Wenders è indissolubilmente legato alla storia del cinema tedesco e mondiale. Pellicole come Lo stato delle cose, Paris, Texas o Il cielo sopra Berlino sono giustamente ricordati per il loro taglio prettamente filosofico ed esistenzialista, cosa che, grazie anche a una fotografia impeccabile, sono valse a Wenders il riconoscimento unanime da parte della critica mondiale, culminato recentemente in un Orso d’oro alla carriera durante il Festival di Berlino 2015.

Proprio a Berlino, lo stesso anno, viene presentato fuori concorso Ritorno alla vita, film in cui James Franco interpreta uno scrittore in piena crisi creativa, almeno finché un evento traumatico – la morte accidentale di un bambino – non lo scuote dal torpore, dandogli la linfa per rimettersi a scrivere bestsellers. Tomas – così si chiama lo scrittore – deve anche destreggiarsi tra un editore incredibilmente comprensivo e una serie di donne che, pur provandoci, faticano a comprendere appieno il comportamento spesso schivo e riservato dello scrittore. Accanto a James Franco il cast prevede anche attori del calibro di Charlotte Gainsbourg, Marie-Josée Croze e Rachel McAdams. 

Dopo aver dedicato qualche anno al genere documentario, girando una pellicola dedicata alle opere del fotografo brasiliano Sebastião Salgado (Il sale della terra, 2014), Wenders torna al cinema narrativo, e lo fa mettendo in campo tutte le sue doti da fotografo e documentarista. La scelta di girare in 3D è in linea con l’interesse maniacale che il regista ha riguardo alla resa visiva del proprio lavoro, e in effetti, se si esclude un fastidioso “effetto occhialini” che rischia di rendere l’immagine più scura del dovuto, la fotografia di Ritorno alla vita risulta sempre impeccabile, abile nel catturare paesaggi innevati, luna park costellati di luci o laghi sferzati dalla brezza. Dopotutto Wenders ha dimostrato fin dagli albori il suo interesse nel fotografare la città e la natura, avvicinandosi in questo a molti maestri del cinema nordeuropeo. 

Lontano dalla bellezza dei film del periodo d’oro, Ritorno alla vita spicca comunque sullo sfondo di un panorama cinematografico attualmente povero di pellicole di spessore. Interessante soprattutto la figura di Tomas, tanto riservato quanto capace, all’occorrenza, di resistere agli urti della vita grazie al proprio lavoro di scrittore, cosa che viene facilmente scambiata per freddezza. Attraverso di lui Wenders riflette sulla natura sostanzialmente onnivora e “cannibale” dell’artista, ovvero di colui che – come farà Tomas – trasfigura, sublimandole in lettera scritta, le disgrazie capitate ad altre persone. 

Reinterpretando il “dilemma del porcospino”, secondo il quale due individui non possono avvicinarsi senza ferirsi in un modo o nell’altro, il film mostra come non ci si possa sottrarre a questa legge universale, e che ogni comportamento, per quanto soggettivamente legittimo, può danneggiare chi ci sta attorno. 

È quello che succede ad esempio tra Tomas e la sua prima compagna (interpretata da Rachel McAdams): due caratteri diversi, incompatibili, e proprio per questo destinati all’infelicità. Solo alla fine i personaggi, al termine di un personale e variegato percorso, riusciranno a “ritornare alla vita”, facendo i conti con il proprio passato e trovando, così, una qualche forma di precaria serenità. 







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