Oliviero Toscani, il fotografo delle campagne shock, si racconta nell'intervista al Venerdì di Repubblica. Dal ponte di Genova al rapporto con Benetton, "credo solo nella mia coscienza".
Oliviero Toscani non gode di buona fama. Quando Michele Smargiassi, sul Venerdì di Repubblica, glielo fa notare, lui quasi si stupisce. “Detestato? Io? E perché?”. Per farsi un’idea, basta dare un’occhiata ai social: in rete gira persino un fotomontaggio che lo mostra sorridente con uno scatto del ponte di Genova. “Io lavoro con il Benetton di United Colors”, liquida lui, “mi fido e penso che anche nella parte di autostrade sia stato onesto e abbia fatto un lavoro di livello europeo. Se poi sui social qualche imbecille fa speculazioni su una tragedia, che devo dire? Non ci si può neanche difendere. Se i cretini credono che quel fotomontaggio dica una verità su di me, fatti loro. Io rispondo alla mia coscienza, l’unica cosa a cui posso credere”. Con Luciano è un rapporto di amore-odio. O quasi: “La verità è che dopo diciott’anni di collaborazione avevo deciso di cambiare, fare altre cose. Ora torno per farne altre ancora, io cambio sempre”.
Toscani si picca di essere un rivoluzionario: “Certamente lo sono. Quando hai tutti contro non è facile, non è comodo non avere il consenso e io non lo cerco. Qualcuno persa che sia comodo fare pubblicità con una foto di morte per Aids?”. Altra nota dolente, ma lui si giustifica: “La moda anni Sessanta era informazione politica. Ha cambiato il costume, ha cambiato la testa della gente, altro che vendere minigonne“. In effetti, della pubblicità non sa quasi niente: “Io sono un fotografo”, ribadisce. Però si diletta nel parlarne. C’è “mancanza di creatività, di invenzione”. Per esempio, “cosa c’entra Clooney col caffè?”. E sulle modelle: “Anche loro muoiono. Professionalmente, molto presto. Quante volte puoi fotografare la stessa modella? Venti, trenta? Poi basta, che noia…“. Allora è un provocatore: “È un complimento. Viva la provocazione, fa andare avanti le cose”. Del selfie dice che è “una droga”. “La droga piace, il problema è che fa male. Quando vado in giro tutti vogliono farsi un selfie con me… Mi dà fastidio che non sei tu che comandi”. E non sei tu a fare clic: chiamatela “deformazione professionale”.
