Non è una via semplice quella di utilizzare gli asset russi per il prestito Ue all'Ucraina. L'alternativa, però, è politicamente costosa
Più passano i giorni, più diventa chiaro che l’Europa non ha modo di confiscare gli asset della Banca centrale russa senza forzature legali. Questa non è solo l’opinione di Euroclear o della Bce. Ieri, per esempio, Jean-Claude Piris, già direttore del Servizio giuridico del Consiglio dell’Unione europea, spiegava al Financial Times, che la confisca è “incredibilmente difficile sotto diversi aspetti legali”.
Putin che ad agosto ha partecipato a un vertice con il Presidente americano in Alaska, l’altro ieri ha incontrato il Primo ministro dell’India, la più grande democrazia al mondo, per discutere, tra le altre cose, di forniture militari ai massimi livelli inclusi i sottomarini nucleari.
Fuori dall’Europa la confisca verrà considerata per quello che è senza le giustificazioni che l’Europa si dà per le necessità imposte dalla guerra. Il rischio che l’Europa sia giudicata un partner commerciale e politico inaffidabile è molto alto.

L’Europa, in realtà, avrebbe un modo elegante per risolvere il problema. Basterebbe che gli Stati che ne fanno parte garantissero il prestito che serve all’Ucraina per finanziare il budget dei prossimi due anni; è il “buco” che oggi l’Unione tenta di colmare confiscando gli asset russi. Gli Stati europei dovrebbero tagliare servizi o alzare tasse fino ad arrivare alla cifra totale di 200 miliardi di euro. È una somma che si può raccogliere chiedendo a ogni singolo cittadino circa 500 euro; 2.000 euro per una famiglia di quattro persone. Si potrebbe evitare la tassa tagliando servizi sociali per una cifra equivalente.
Calare questi impegni finanziari nella realtà politica del 2025 è complicato. La Francia, prima ancora di qualsiasi taglio o tassa “di guerra”, è incapace di ridurre il deficit in un contesto di crescita. La Germania rinuncia al rigore fiscale per il riarmo e per sostenere un sistema industriale colpito dalla crisi energetica; ciò, per inciso, spiega il “crollo dello spread”.
Oltre a questo gli europei sono ancora convinti che questa guerra sia a costo zero e comunque qualcosa che riguarda altri. Nonostante gli avvertimenti dell’allora Governatore della Banca d’Italia, Visco, non si è consolidata nell’opinione pubblica nemmeno la relazione tra crisi energetica e le sanzioni contro il gas russo.
Buona parte del continente europeo, inoltre, deve reinventare un sistema energetico dopo la fine del “sogno green” e deve trovare i fondi per finanziare il riarmo.
Chiedere agli europei di pagare per coprire il budget di guerra dell’Ucraina dei prossimi due anni è complicato. Si potrebbe, forse, indorare la pillola vendendo agli europei il contributo come una “tassa per la pace” anche se sarebbero quasi tutti soldi per esercito e armi. È un’operazione mediatica che promette bene e che si inserisce in una narrazione che dura ormai da quasi cinque anni.
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