Un nuovo studio circa le cause di contagio da Coronavirus giunge direttamente dagli Stati Uniti d’America e reca in calce le firme di quattro esperti, che rispondono ai nomi di Pete Riley, Allison Riley, James Turtle e Michal Ben-Nun. Pubblicato su “medRxiv”, il documento si apre con un’introduzione nella quale si scrive che, sebbene la situazione sia in rapida evoluzione, con dati che vengono continuamente corretti o aggiornati, è fondamentale capire quali fattori possano essere alla base della trasmissione attraverso diverse popolazioni. “Mentre gli studi cominciano ad evidenziare parametri specifici che possono avere un ruolo, in pochi hanno tentato di stimare a fondo l’importanza relativa delle variabili, che probabilmente includono: il clima, la demografia della popolazione e gli interventi statali imposti“. Gli scienziati, così hanno compilato un database comprendente oltre 28 variabili per ciascuno dei 50 Stati americani fino all’inizio di maggio 2020, individuandole mediante una combinazione di approcci statistici tradizionali e moderni di machine learning.
CORONAVIRUS: IL LOCKDOWN NON SERVE?
Gli esperti a stelle e strisce dichiarano di avere riscontrato che la densità ponderata della popolazione (PWD), alcune metriche di “stay at home”, la temperatura e le precipitazioni mensili e la razza/etnia erano tutte statisticamente significative. “Questo – dichiarano nel loro rapporto – suggerisce che l’impatto maggiore sui decessi di Covid-19 è stato, almeno inizialmente, connesso al luogo in cui si viveva e non ai comportamenti che si tenevano. Inoltre, l’aumento della distanza sociale ha l’effetto netto di ridurre (almeno temporaneamente) la densità ponderata della popolazione effettiva”. Tradotto in altri termini: l’allentamento del lockdown dovrebbe essere adattato alla PWD locale. Infine, in contrasto con queste variabili, pur essendo ancora statisticamente significative, la razza/etnia, la salute e gli effetti climatici “potrebbero rappresentare solo una piccola percentuale della variabilità dei decessi”.