CRISI DI GOVERNO/ Il Conte rischiatutto non piace più a Mattarella né al Pd
Conte vuole ancora lo scontro, ma stavolta i numeri non ci sono. Solo se si dimette entro mercoledì può salvare le chances di essere reincaricato

“Il tappo? È a Palazzo Chigi. Anzi, è Palazzo Chigi”. Lo stato dell’arte di una surreale crisi-non crisi (non è stata formalmente aperta) sta tutto in questa battuta di un addetto ai lavori. Dopo un fine settimana dove, in apparenza almeno, lo sforzo di allargare la maggioranza non ha sortito alcun esito, si riparte con l’orologio che scandisce inesorabile il conto alla rovescia. Lo ha detto chiaro Luigi Di Maio: ci sono solo 48 ore, poi si rischia di scivolare verso il voto, in assenza di disponibilità per sostenere il governo.
In realtà, alle elezioni continuano a crederci in pochi. Il timing, invece, è quello giusto. Il limite temporale è quello del voto sulla relazione annuale del ministro della Giustizia, che si sta delineando come un secondo voto di fiducia al governo, ma ancora più difficile del primo. Conte rischia davvero di andare a sbattere (espressione di Andrea Orlando), anche perché il tema è molto divisivo, e rischia di perdere voti, anziché recuperarne. Tutta colpa della politica giustizialista di Alfonso Bonafede, oggetto nel maggio scorso di una doppia mozione di sfiducia individuale (del centrodestra e della Bonino).
Matteo Renzi in Senato ha ricordato come in quell’occasione accolse il richiamo del premier solo per disciplina di coalizione, facendo comprendere l’orientamento a votare contro. E rispetto ai 156 voti raggranellati la settimana scorsa potrebbero mancare anche quelli di Casini (no sicuro), Nencini (votò per la sfiducia già a maggio), e degli ex azzurri Lonardo, Rossi e Causin, oltre alla probabile assenza della senatrice a vita Segre. Per quel che se ne sa oggi, il governo potrebbe scivolare a quota 150, o addirittura sotto. E Italia viva potrebbe vibrare il colpo mortale, votando con l’opposizione contro il guardasigilli.
I pentastellati fanno quadrato intorno al loro capo delegazione, all’avvocato fiorentino che ha introdotto Conte nel mondo grillino. Drammatizzano, rimarcano che si tratta di un voto sul governo, e quindi la tensione sale alle stelle. Una bocciatura travolgerebbe l’esecutivo. Non solo Bonafede, ma lo stesso Conte difficilmente potrebbero sottrarsi alle dimissioni.
Tocca allora al premier decidere il da farsi. Su un piatto della bilancia c’è l’ipotesi caldeggiata dai suoi fedelissimi, Casalino in testa, di andare alla conta, sperando che la paura della crisi e delle elezioni convinca i “responsabili” a uscire allo scoperto. Dall’altra sta il consiglio dei navigati ex Dc Tabacci e Casini: dimettersi prima di mercoledì per puntare al reincarico e alla formazione del Conte ter. E fermarsi prima del baratro del voto in Senato è un’idea che sembra che si stia facendo strada anche nello stato maggiore del Pd.
Al contrario, per ora il premier ha scelto di resistere, forse per assenza di rassicurazioni che a lui non ci sia alternativa, per il timore che i giochi si possano riaprire, persino con Renzi, passando sul suo cadavere. Non solo dentro il Pd, ma anche fra i 5 Stelle (Carelli e Trizzino, quantomeno), cominciano a essere parecchie le voci che consigliano di provare a ricucire con il senatore di Rignano.
Conte, però, non sembra avere alternative: se entro la sera di domani, martedì, la caccia al “costruttore” non avrà prodotto risultati, dovrà valutare l’opzione di salire al Quirinale, dove l’inquietudine di Mattarella non può che essere aumentata con il passare delle ore.
Saltato il “tappo” di Palazzo Chigi, toccherà al Capo dello Stato provare a ricomporre il puzzle. Visto che la tattica dilatoria del premier ha logorato i rapporti, difficilmente il Quirinale potrebbe evitare il passaggio formale delle consultazioni. E di fronte a lui i partiti dovranno manifestare ufficialmente le rispettive disponibilità. Conte ter, oppure nuovo premier con la stessa maggioranza (Italia viva inclusa). Oppure quel governo di unità nazionale, che a parole in questa fase è stato respinto un po’ da tutti, dal M5s al Pd, da Salvini a Meloni, e persino da Berlusconi. Ma nella fase nuova delle consultazioni anche questi veti potrebbero essere messi in discussione, come l’articolato pensiero del leader di Forza Italia lascia comprendere.
Giocata male, la partita su Bonafede potrebbe quindi rivelarsi devastante. Potrebbe essere il principio di un piano inclinato che fa rotolare tutto il quadro politico verso il voto anticipato. Tutto, almeno per ora, dipende dalle scelte di Conte.
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