Macron ha nuovamente incaricato Lecornu dopo avere ascoltato tutte le forze politiche tranne il Rassemblement National. La crisi si aggrava
Prima di incaricare nuovamente Sébastien Lecornu come premier (il sesto in tre anni dopo la rielezione all’Eliseo, il quarto dopo le elezioni anticipate di un anno fa) Emmanuel Macron ha convocato una consultazione-lampo finale. Che non ha però dato all’Eliseo fiducia e carica: tanto che la presidenza ha dovuto diffondere all’ora di cena una posizione interlocutoria per dissipare uno scetticismo crescente. Questo è avvenuto perché ieri pomeriggio Macron ha voluto invitare solo le forze politiche da lui preventivamente chiamate a formare una maggioranza di salute pubblica all’Assemblea nazionale.
C’erano il suo “campo presidenziale” (ormai irto di tradimenti interni), i gollisti di LR, i centristi di MoDem dell’ex premier François Bayrou e quelli di UDI; Horizons dello scalpitante Edouard Philippe, ex premier del Macron 1; socialisti, comunisti e verdi. In breve: la riedizione del “fronte repubblicano” anti-Rassemblement National già fallito un anno fa nelle urne e poi per tre volte nel garantire la maggioranza a un premier mandato avanti dall’Eliseo. Un fronte per di più mutilato oggi dallo stesso Macron di La France Insoumise, all’ala sinistra.
Già Lecornu – ultimo premier bruciato, ora ricandidato alla guida di un esecutivo tecnico – aveva ammesso in tv che se una maggioranza era identificabile nell’emiciclo parlamentare, questa si stava raccogliendo attorno a Macron per una preoccupazione unica e basica: evitare lo scioglimento dell’Assemblea e una non improbabile batosta elettorale.
Quella ritrovatasi ieri all’Eliseo si è mostrata dunque subito il contrario di un’ennesima “coalizione Macron”: un insieme di forze divise e poco “responsabili”, riluttanti a legarsi (gratuitamente) a un presidente debole e screditato a un anno e mezzo dalle nuove presidenziali. Per i gollisti come per i socialisti e perfino per i post-macroniani, affrontare le urne subito – per l’Assemblea o anche per l’Eliseo – può ancora rivelarsi meno rischioso che firmare una manovra finanziaria lacrime e sangue preparata da Macron uscente.
Ieri pomeriggio, in ogni caso, il presidente ha lasciato ostentatamente fuori dalla porta il Rassemblement National, che al voto europeo del giugno 2024 – all’origine della lunga crisi francese – è risultato largamente il primo partito con il favore del 31,3% dei francesi (i sondaggi correnti attribuiscono alla destra lepenista un consenso anche superiore in eventuali primi turni di legislative o presidenziali anticipate).

All’Eliseo non è stata invitata neppure LFI, che al primo turno dell’euro-voto ha riportato all’estrema sinistra il 9,9% (solo 4,6 punti in meno rispetto all’Ensemble macroniano) ed è stata poi determinante nell’affermazione relativa (29,5%) del Nouveau Front Populaire nelle legislative anticipate del 2024 chiamate da Macron.
Al primo turno delle presidenziali 2022, il leader LFI Jean-Luc Mélenchon aveva incassato il 21% dei voti: poco sotto il 23% di Marine Le Pen e non così distante dallo stesso Macron (28%). Non sembra superfluo rammentare che tre anni fa il quarto più votato è stato l’antagonista di destra Éric Zemmour (7%), ben oltre il 4,7% della candidata gollista Valerie Pécresse. La candidatura socialista di bandiera (la sindaca di Parigi Anne Hidalgo) non è andata oltre l’1,7%.
L’ultimo presidente arbitro e insieme giocatore della Quinta Repubblica semipresidenzialista è giunto così ad escludere dalle sue consultazioni di crisi governativa il primo partito, sostenuto da un elettore su tre. Vuole – e può – continuare a negare il suo drammatico fallimento istituzionale prima che politico (grottesco, da ultimo, l’insediamento del gabinetto Lecornu la domenica sera, seguito dalle dimissioni 836 minuti dopo; ennesima violazione della costituzione sostanziale dopo i tre mesi di vuoto di governo nell’estate 2024).
Il Macron “arbitro” – che ha sciolto il suo parlamento nazionale con uno schiocco di dita perché una domenica di giugno aveva perso le europee – pretende ancora di selezionare in anticipo le forze politiche che meritano di essere consultate, per obbligarle a formare una maggioranza quando la Francia sta rotolando in una crisi finanziaria sempre più grave. Dopo otto anni di “regno”, la bocciatura del presidente – sia come “arbitro” che come “giocatore” – pare essere senza appello.
Il presidente – tuttora irriducibile nel difendere un anno e mezzo di potere residuo e la possibilità di condizionare la sua successione – continua nel frattempo a dimenticarsi di aver giurato di difendere gli interessi del suo intero Paese: non i suoi personali o quello del suo partito, ormai minoritario. O, peggio ancora, per tenere in mare ai suoi ordini una sorta di “flotilla globale” contro gli Usa di Trump o Israele di Netanyahu, o a volenteroso supporto dell’Ucraina perché alimenti la guerra con la Russia e tenga sotto scacco la Ue.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
