È stato recentemente presentato il rapporto 2023 di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) a proposito delle persecuzioni dei cristiani nel mondo. I dati sono allarmanti: in 61 Paesi vengono registrati crimini d’odio e violenze a sfondo religioso. In 28 di questi sono in atto delle vere e proprie persecuzioni, prevalentemente in Africa, Medio Oriente e Asia più il drammatico caso del Nicaragua in America centrale, mentre nei restanti 33 Paesi sono presenti varie forme di forte discriminazione. Rispetto all’ultimo rapporto del 2021 solo in 9 di questi Paesi la situazione è leggermente migliorata.
Tante sono le situazioni messe in luce dal documento. Si parla infatti, tra gli atti persecutori, di attacchi terroristici, di sorveglianza di massa e di distruzione di edifici di culto. Come si può già capire dall’ampiezza geografica di cui si sta parlando, contrariamente a quello che poteva apparire nella narrazione televisiva degli ultimi anni il fenomeno non è nato né si è estinto nel processo che ha portato alla formazione e alla caduta dell’Isis, anche se lo Stato Islamico certamente ha portato le persecuzioni a un livello ancora più aspro e duro.
Questo rapporto pone l’accento ancora una volta sulla libertà religiosa, portando alla luce situazioni concrete dove questa viene calpestata in vari modi, sia violentemente che culturalmente: Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, India, Libano e Finlandia (cfr. Sintesi rapporto 2023). A distanza di 12 anni, sono ancora attuali le parole di Benedetto XVI nel suo Messaggio per la pace del 2011: “Risulta doloroso constatare che in alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi”.
La libertà religiosa è un diritto umano inalienabile riconosciuto anche dall’Onu nella Dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione” (articolo 18). Una critica giuridica a questo articolo riguarda il fatto di aver diviso la libertà in tre parti distinte anche se di pari dignità, una divisione che ha generato nel tempo approcci che “non soltanto negano l’armonia interna di questo diritto triadico e del sistema dei diritti umani che si basa sulla pari dignità per tutti ma contraddicono lo spirito dell’articolo 18, che apre lo spazio alla coscienza trascendente di ogni persona nel pensare, sentire, decidere e vivere in accordo con le domande più essenziali sulla nostra vita umana e sul nostro destino ultimo” (cfr. Sintesi rapporto 2023).
Ogni persona in quanto tale ha diritto alla libertà religiosa, che però non va confusa né con un relativismo religioso dove va bene una religione piuttosto che un’altra, come se in fondo non ci fossero differenze, né con un processo per arrivare a un’unica religione globale come ad esempio accade nel romanzo distopico Il padrone del mondo (R.H. Benson); al contrario parlare di tale libertà vuol dire lasciare all’uomo la possibilità di prendere sul serio il proprio desiderio d’infinito, che è intrinseco alla stessa natura umana (“Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo”, Catechismo della Chiesa cattolica, punto 27).
Lo stesso Concilio Ecumenico Vaticano II è stato molto chiaro sul tema nella Dignitatis Humanae: “La persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione».
Se da un lato le persecuzioni sono una provocazione soprattutto per i cristiani che vivono in aree tranquille del mondo, dall’altro sono un fenomeno che gli Stati non possono esimersi dall’affrontare seriamente, al di là dei convincimenti religiosi o laicisti dei vari esecutivi. A questo proposito sono state sicuramente interessanti le parole del presidente del Consiglio, annunciando fondi da “oltre dieci milioni di euro per finanziare interventi a favore delle minoranze cristiane perseguitate, dalla Siria all’Iraq, dalla Nigeria al Pakistan”.
Tanto è ancora da fare e non basteranno certo i fondi annunciati, ma certo un contributo economico concreto è un punto di partenza che, si spera, possa chiamare in causa anche l’Europa a sostegno di questa drammatica piaga.
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