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Home » Cronaca » TALIDOMIDE/ Malavasi (Tai onlus): è bene che se parli ancora

  • Cronaca

TALIDOMIDE/ Malavasi (Tai onlus): è bene che se parli ancora

Int. Nadia Malavasi
Pubblicato 3 Settembre 2012
farmaco_phixr

Immagine di archivio (Infophoto)

Dopo 50 anni la Gruenenthal ha chiesto scusa alle vittime. In Italia ci sono ancora dieci persone che chiedono il riconoscimento della patologia. Il racconto di NADIA MALAVASI

La Gruenenthal ha rotto il silenzio. Un silenzio durato 50 anni. È di oggi la notizia che il colosso farmaceutico tedesco ha chiesto scusa per le vittime del Talidomide, il farmaco usato a fine anni ’60 come sedativo e per calmare i malesseri e le nausee della gravidanza. Un impiego, il secondo, che ha causato in tutto il mondo la nascita di migliaia di bambini amelici, ossia privi di alcuni o tutti gli arti, o focomelici, ossia che presentano evidenti riduzioni nello sviluppo delle ossa lunghe degli arti. Harald Stock, Ceo della Gruenenthal, ha detto, in occasione della posa di un monumento alla memoria delle vittime a Stolberg, “chiediamo che si consideri il nostro lungo silenzio come un segnale dello shock che quello che vi accadde provocò in noi”. IlSussidiario.net ha chiesto a Nadia Malavasi, presidente onoraria di Tai onlus, l’associazione dei talidomidici italiani, che da lei è stata fondata, di commentare l’evento e di farci comprendere cosa ha voluto dire per lei lottare per anni in difesa di chi, come lei, è stato ferito da una così drammatica forma di disabilità. “Noi talidomidici”, ha spiegato Malavasi, “siamo un popolo in via di estinzione ma non per questo abbiamo meno diritti degli altri”. Dopo il 1961 il farmaco, diffuso anche in Italia, è stato ritirato dal commercio. Mentre la Gruenenthal è stata condannata dopo pochi anni a risarcire le vittime in Germania. In Italia la patologia è stata riconosciuta nel 2006 da una legge apposita del governo Berlusconi. Nadia Malavasi, madre di un figlio ormai grande, è segnata fin dalla nascita a tre dei suoi arti e può camminare grazie al supporto di una protesi. Ma tutto questo non le ha impedito di costruire l’associazione e di impegnarsi con la vita. Ecco cosa ci ha raccontato. 


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Come è nata l’idea di fondare una associazione in difesa dei talidomidici?

È nata vedendo cosa è successo in Germania, con il processo e il risarcimento delle vittime. Mentre in Italia il problema è sempre stato oscurato: le ditte farmaceutiche che hanno venduto il farmaco l’hanno fatta franca.

Ora la Gruenethal ha chiesto scusa.


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Meno male che dopo 50 anni chiede scusa. Dopo essersi presa i grattaceli a New York e avere fatto i miliardi.

Come sono state trattate le vittime in Germania?

In Germania c’è la legge sul risarcimento vittime. Dopo il processo le vittime sono state risarcite anche se la Gruenethal se l’è cavata con molto poco: i risarcimenti ai talidomidici, se paragonati mensilmente ai nostri indennizzi sono molto inferiori. Soltanto che noi riceviamo gli indennizzi solo dal 2008; loro da quando sono nati. La realtà è che noi, da quando siamo nati, siamo stati mantenuti dalle nostre famiglie e nessuno le ha aiutate.


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Quante sono le vittime in Italia?

Le vittime ancora in vita sono 300 mentre in tutto saranno state 800. Ma a livello mondiale si può parlare almeno di 20 mila. Vede, i numeri che circolano sono sottodimensionati. Oltretutto in Italia non è mai stato fatto un censimento.

Vuole parlare della sua esperienza?

È stata un’esperienza devastante perché al mio nascere non si sapeva cosa fare. Poi, appena la storia è venuta fuori sui giornali, mia mamma si è accorta di aver preso un farmaco a base di talidomide e ha capito. A quel punto i miei genitori mi hanno detto la verità.

 

Cosa si ricorda di quando era piccola?

 

Ho iniziato a frequentare la scuola elementare che già sapevo leggere e scrivere. Praticamente ho fatto la “primina in privato” . Mia mamma voleva che andassi a scuola come tutti i bambini e prima di iniziare mi ha insegnato a leggere e scrivere. A scuola sono sempre andata bene fino alla laurea. Diciamo che con l’intelligenza ho sopperito alla mancanza fisica.

 

Continui.

 

Ho studiato lingue straniere. Così ho potuto capire cosa è successo in Germania, un’esperienza che mi è servita per fondare Tai onlus. Dopo la laurea ho fatto corsi di perfezionamento in bioetica e un master per la gestione delle onlus in maniera professionale. Nel frattempo mi sono sposata e faccio la mamma. Ho un figlio – uno basta e avanza – che adesso ha diciott’anni.

 

È bene che si torni a parlate del Talidomide?

 

È bene che se ne parli. Non è il mio caso, ma c’è chi, pur di nascondere la sua disabilità ha preferito lasciare perdere. È ora che anche in Italia si trovino i responsabili e che chiedano scusa. Anche da noi si potrebbe fare un monumento alla memoria. Non dobbiamo dimenticare che senza i talidomidici non ci sarebbe stata la legge sulla farmaco-vigilanza.

 

Cosa vi aspettate dal governo?

Speriamo che il governo faccia ancora molto per riconoscere dieci casi che abbiamo in sospeso. Si tratta di talidomidici non riconosciuti per errori del ministero. È già molto difficile alzare la voce in questo periodo ed è ancora più difficile farsi ascoltare da parte di quelle persone che hanno disabilità gravi.

 

(Matteo Rigamonti)


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