A seguito di accertamenti sbagliati, gli Ospedali Riuniti di Bergamo sono stati condannati a risarcire una madre con 400mila euro dopo che il figlio era nato con la spina bifida. Lo ha stabilito il giudice della Prima sezione civile del tribunale di Bergamo, Marino Marongiu, secondo cui vi fu una mancata informazione “nell’ottica dell’esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza”. Insomma, il nosocomio avrebbe dovuto consigliare alla donna di abortire. Il magistrato ha inoltre rilevato una “inadeguata visualizzazione nella documentazione fotografica degli organi del feto come necessario per la doverosa completezza dell’esame e in particolare per poter escludere la diagnosi di meliomeningocele”, quindi la spina bifida. E’ stata respinta la difesa tentata dagli Ospedali Riuniti, i quali hanno sempre sostenuto che la donna non avrebbe comunque scelto di abortire, “sia perché la nascita del figlio era attesa e desiderata da tempo”, sia perché non sapeva “che cosa avrebbe fatto ove fosse venuta a conoscenza della deformazione fetale”. Una difesa però non sufficiente per il giudice, secondo cui il diritto di scelta deve essere “ex ante e non ex post”, aggiungendo che per accedere all’opzione abortiva sarebbe stato sufficiente l’ipotesi del “grave pericolo per la salute psichica della donna che costituisce la condizione richiesta dalla legge per l’interruzione di gravidanza”.
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