Dell’intervista su Repubblica di Paolo Griseri a Erri De Luca di domenica 8 settembre non sono le risposte a stupire, quanto le mancate domande. Erri De Luca ha dichiarato pubblicamente di aver partecipato attivamente ad azioni di sabotaggio dei cantieri della Tav in Val di Susa. Ma l’intervistatore non fa neppure una domanda circa il merito delle posizioni di Erri De Luca ed altri sulla Tav: è giusto o sbagliato ricorrere al sabotaggio, quando non si è d’accordo con la costruzione di una strada, di una ferrovia, di un’opera pubblica?
L’intervista si sdilinquisce sul tema stracotto dell’intellettuale, che osa sporcarsi le mani, in nome della coerenza con ciò che scrive e della responsabilità di chi pratica il mestiere della parola. Ma se il suddetto intellettuale passa dalle parole alle pietre, forse occorre interrogarlo sui pensieri e sulle parole, possibilmente non in ginocchio. È decisiva, infatti, non tanto la coerenza delle parole con le azioni, quanto quella delle parole/azioni e con la realtà esterna. Non basta l’etica della convinzione, occorre quella della responsabilità, appunto!
Qui la Tav non c’entra per nulla. Al riguardo le opinioni di esperti e tecnici sono discordanti: per alcuni è un’opera necessaria, che ci collega alle correnti del commercio continentale che parte dall’Europa occidentale per raggiungere l’Est asiatico; per altri si riduce principalmente alla distruzione del territorio di una valle. Lo schieramento pro e contro è assolutamente trasversale alle forze politiche. Resta il fatto che un governo democraticamente legittimato ha deciso che l’opera si fa. E poiché l’intellettuale ammette che in Italia la democrazia purtuttavia c’è, ciò che allarma del pensiero dello scrittore è appunto la sua concezione della democrazia.
Su questa questione bisogna riconoscere che Erri De Luca è di una coerenza adamantina. Egli appartiene a quella generazione di Lotta continua, che, nel gran calderone della vecchia Fiera di Rimini del novembre del 1976, si scontrò violentemente sul tema della “forza”. Nell’occasione il nostro intellettuale dirigeva il servizio d’ordine di Lc, che si scagliò, con “forza” appunto, contro l’ala femminista, considerata “di destra”. La storia dice che proprio in quei giorni una parte di Lotta stava trasmutandosi in Prima Linea, mentre il gruppo dirigente storico, Sofri in testa, se la dava a gambe. L’omicidio Calabresi era già accaduto il 17 maggio 1972 ed era già stato archiviato senza pentimenti dall’intero gruppo dirigente.
Ma la sua riscoperta da parte della magistratura, su suggerimento del pentito Leonardo Marino, provocherà un passaggio ripetuto e contraddittorio davanti a diverse Corti giudicanti e un’implosione di storie e biografie nei resti del vecchio gruppo, della quale sono emersi indizi in polemiche sui giornali, cui lo stesso Erri De Luca ha partecipato, lanciando coltelli sotto il tavolo e ambigui ammonimenti.
La parte non-violenta di Lc promosse la nascita dei Verdi: per alcuni fu solo un modo di stare a galla nelle istituzioni, per altri un investimento che sostituiva il Dio defunto della rivoluzione proletaria. Luca Erri “si appartò” a scrivere libri di successo. Ma ecco apparire, negli anni duemila, la Tav. Per le popolazioni della Val di Susa si tratta di una battaglia per la difesa del proprio giardino. Ma per le correnti antagonistiche che vengono dal profondo della storia del Paese, e che si rigenerano periodicamente e con sempre nuovi nomi dal ventre della società italiana, la difesa del territorio della Val di Susa è diventata una proiezione simbolica e il punto di condensazione di ogni opposizione radicale allo stato di cose presente, una battaglia anticapitalistica e rivoluzionaria, alla quale partecipare, anche se si abita a centinaia di chilometri di distanza dalla valle. Ricorrendo a tutte le forme di dissenso e di lotta possibili, legali, ma anche no.
Come è noto, la rivoluzione non è un pranzo di gala, non può certo fermarsi di fronte alle fragili e imbelli forme della democrazia rappresentativa borghese, che prende decisioni attraverso il Parlamento, telecomandato dai grandi interessi economici. C’è un’intera generazione che non è ancora pervenuta all’accettazione della democrazia liberale; di essa apprezza solo la libertà di sabotaggio. In questi ambienti antagonisti, produce più cultura politica il “Manuale di resistenza, sabotaggio e guerriglia antifascista” scritto nel 1943, ripubblicato nel 2009, di quanto ne possa produrre un Tocqueville. A quanto pare, Erri De Luca appartiene con coerenza degna di causa migliore a questo filone. Tuttavia per un cittadino democratico “normale” continua ad esistere una certa differenza tra l’elogio del sabotaggio e la pratica del medesimo. L’elogio non è reato, la pratica sì. Chissà se l’intervistatore di Repubblica lo sa.