LUCA MOSER, consigliere della provincia autonoma di Trento, commenta un disegno di legge attualmente in discussione in Consiglio in tema di discriminazione sessuale. La lettera
Caro direttore,
assurto agli onori della cronaca internazionale per la morte dell’orsa Daniza, il Trentino sta in questi giorni assistendo a qualcosa di assai più importante, che naturalmente non suscita alcun interesse al di fuori del suo territorio. Il Consiglio provinciale sta discutendo un disegno di legge intitolato “Interventi di contrasto delle discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere o dall’intersessualità”, frutto dell’unificazione tra un disegno di legge di iniziativa popolare, promosso dalle organizzazioni espressione del mondo LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender e intersessuali) e un disegno di legge presentato da alcuni consiglieri della maggioranza di centrosinistra che governa la Provincia autonoma di Trento.
Su tale provvedimento l’opposizione di centro e di centro-destra, avendone da regolamento consiliare l’opportunità, ha intrapreso un’azione di ostruzionismo, che ha avuto il merito di alimentare un dibattito nel quale chi interviene è “costretto” a dire qualcosa di sé, di ciò che lo muove nella vita, in famiglia, nella società civile e, conseguentemente, in politica. Riferimenti culturali, filosofici, antropologici tornano ad affacciarsi in una di quelle aule dalle quali troppo spesso sono banditi. Ciascuno dei consiglieri – intervenendo, votando, anche rimanendo in silenzio – è sfidato da quelle questioni che purtroppo sempre più spesso la politica ha relegato all’oblio. L’esito tragico di tale oblio sta dentro quei freddi dispositivi di sentenze pronunciate da giudici che, in nome di principi dichiarati alti, sanciscono la dittatura dei desideri e la subalternità dei diritti di chi è più fragile, di chi non ha voce. E quando, invece, il passaggio attraverso la rappresentanza democratica non può essere eluso, la pretesa del politically correct di trasformarsi in pensiero unico si arma di ingegno e produce il voluto, e ipocrita, scivolamento semantico del concetto di “discriminazione” che tanti danni sta procurando in tutto il mondo occidentale.
Prendi un disegno di legge intitolato “Interventi di contrasto delle discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere o dall’intersessualità”. Chi può dichiararsi contrario a combattere queste discriminazioni? Chi può dichiararsi omofobo? Poi, però, uno si chiede: “Ma non c’è l’articolo 3 della Costituzione a stabilire che abbiamo tutti pari dignità sociale e che siamo tutti uguali di fronte alla legge? E che ciò vale “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”? E l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’intersessualità non rientrano forse nell’ambito delle “condizioni personali e sociali”? Che bisogno c’è di una legge provinciale, pur se la Provincia è autonoma, per ribadire ciò che è già solennemente stabilito al vertice delle fonti del diritto del nostro ordinamento giuridico?
Proviamo ad andare a leggerlo, questo disegno di legge. Basta arrivare fino al terzo articolo per capire tutto. Cambiano i verbi – da “superare” e “contrastare” le discriminazioni, si passa in men che non si dica a “promuovere” buone prassi che coinvolgano Arcigay, Arcilesbica, ecc.., a “coordinare” strutture provinciali da coinvolgere, a “sensibilizzare” la comunità riguardo alla cultura, meglio all’ideologia del gender.
E poi, a seguire, interventi in materia di lavoro, per l’inclusione sociale, nell’ambito dei servizi sociali, sanitari e socio-sanitari, perfino riguardo alle modalità linguistiche che l’ente pubblico deve adottare. Naturalmente, poi, si arriva agli ambiti della formazione e della comunicazione, del monitoraggio sui contenuti dei programmi televisivi e radiofonici. Non è difficile rilevare che oggi ogni fiction che si rispetti debba ormai avere nel copione una storia gay, quale passaporto di attualità e modernità, in un tragicomico ribaltamento culturale per cui ciò che una volta era considerato, e rivendicato, come trasgressivo, oggi si presenta con i contorni melliflui del politically correct.
Ma mentre il legislatore della Provincia autonoma di Trento discute, e mentre minoranze troppe volte scoordinate ritrovano compattezza in nome del diritto naturale, in nome dell’idea che un figlio è un dono e non può essere una pretesa, il consigliere provinciale Walter Viola scova e denuncia un bando agghiacciante, con il quale la medesima Provincia finanzia al 100 per cento percorsi formativi di educazione alla relazione di genere, tra i quali figurano azioni finalizzate a “fornire agli/alle insegnanti un set di strumenti teorici ed educativi per lavorare in classe con bambini e bambine sullo scardinamento delle rappresentazioni stereotipate del maschile e del femminile, con particolare riferimento alla letteratura per l’infanzia e ai libri di testo”.
Capito? Biancaneve svegliata dal Principe Azzurro, uno “stereotipo da scardinare”! La bella addormentata nel bosco, pure. E il papà e la mamma che si alternano nel venire a prendere il/la figlio/a che hanno generato, per chi ci crede con l’aiuto di Qualcuno che da lassù si è chinato su di noi: anche loro “stereotipi da scardinare”? Molti, in Trentino, stanno conducendo una sana e laica battaglia. È una battaglia contro quella sorta di cupio dissolvi che sta cercando di impadronirsi della nostra società e che sta trovando – ahimé – proseliti anche in quel mondo di cattolici adulti, quel mondo che “va bene la Chiesa, però…”.
I desideri si fanno legge perché “ciò che si può [tecnicamente] fare, si deve fare”. I diritti del più forte tracimano e travolgono il diritto del più debole. Smettiamola di criticare i giovani e di parlare di una generazione senza valori, che non comprende il significato della libertà e della responsabilità. A parte che vi sono, grazie a Dio, lodevoli eccezioni vibranti di vita. Ma quali esempi hanno di fronte? La realtà è che una comunità che tradisce le proprie origini – vero, Europa? – non troverà più le fondamenta sulle quali costruire una nuova stagione di coesione sociale, di crescita culturale e di sviluppo economico.