Oggi, 23 marzo, la Chiesa celebra anche San Turibio de Mogrovejo, che fu un arcivescovo spagnolo, ma anche esperto di diritto e inquisitore. Il santo nacque il 16 novembre del 1538 a Mayorga, un comune della penisola iberica situato nell’attuale provincia di Valladolid, da Ana de Robles y Moran e Luis Alfonso de Mogrovejo. Dopo aver approfondito gli studi di diritto canonico prima a Valladolid e poi presso l’Università di Salamanca, si ferma proprio qui per fare l’insegnante di diritto. Nel 1571, il re Filippo II decise di sceglierlo per coordinare il tribunale dell’Inquisizione di Granada, nonostante egli, ancora molto giovane, non fosse un religioso. Quasi otto anni dopo, nel 1579, Turibio divenne vescovo di Lima per mano di papa Gregorio XIII, il quale seguì l’indicazione che gli era stata data da Filippo II. La nomina ad arcivescovo, giunta in maniera quasi inaspettata, fece sì che in poco tempo (nell’arco di circa un mese), il santo prendesse prima gli ordini minori e poi, la domenica seguente, divenisse presbitero, fino ad approdare alla sede vescovile di Lima. Il santo arrivò nella città peruviana fondata meno di cinquant’anni prima da Francisco Pizzarro il 12 maggio del 1581: in quella che all’epoca era chiamata la Ciudad de Los Reyes, il neo arcivescovo trovò una situazione assai problematica, soprattutto a causa dei soprusi perpetrati dai conquistadores ai danni della popolazione locale, la quale, peraltro, non riusciva a trovare conforto nemmeno affidandosi ai sacerdoti, che non osavano intervenire per non suscitare l’ira dei bruti colonizzatori. Contro questo stato di cose, Turibio decise che sarebbe stato meglio agire per estirpare il male alle origini, e cioè nella mentalità imperante tra i colonizzatori spagnoli, secondo i quali tutto era legittimato dal fatto che essi si limitavano soltanto a comportarsi secondo abitudini e costumi vigenti sul posto. Ecco perché il santo si spese per riformare il clero, moralizzare i costumi e, di conseguenza, frenare il dilagare degli abusi. Naturalmente si dedicò anche all’evangelizzazione della popolazione locale, alla quale si proponeva di arrivare attraverso parole semplici ma appassionate. Fece tre visite pastorali nell’intero territorio che ricadeva sotto la sua gestione e, senza minimamente curarsi delle lunghe distanze, provò a convertire tutti coloro che s’imbattevano in lui con le armi della persuasione, del sorriso e delle maniere gentili, non sottraendosi al proprio dovere nemmeno nel momento in cui c’era da confrontarsi con povertà e diffidenza. Per essere facilitato nella sua opera, il vescovo apprese la lingua del posto e fece stampare il catechismo in lingua spagnola, aymara e quechua, dedicandosi parimenti a migliorare lo stato dell’istruzione degli indigeni. Complessivamente fu in viaggio per la diocesi per circa dieci anni, periodo di tempo nel corso del quale si preoccupò anche di convocare tredici sinodi nella regione in cui esercitava la propria opera e provvide a dare vita, nel 1591, al primo seminario in assoluto dell’America Latina, proprio nella città a capo della sua diocesi. La sua fu un’opera di evangelizzazione che si espletò anche con l’esempio, dato che tutti ebbero modo di lasciarsi toccare il cuore dall’infaticabile opera da lui svolta in queste terre per certi versi ostili, non trascurando tuttavia di dedicarsi anche ad attività più introspettive come la meditazione e la preghiera, praticate ogni giorno. La sua intensa attività portò dei frutti, non soltanto perché riuscì a convertire tante persone del posto, ma anche perché tre di queste divennero poi dei santi: stiamo parlando di Santa Rosa da Lima, San Martino di Porres e San Francesco Solano. Purtroppo, nel 1605, una brutta febbre contratta in quel di Pacasmayo mentre era impegnato nell’opera di evangelizzazione, s’impossessò di lui e pregiudicò notevolmente le sue condizioni di salute, tanto da condurlo alla morte circa un anno dopo, mentre si trovava nella sua dimora di Saña (23 marzo 1606). Il 2 luglio del 1679 ha luogo la sua beatificazione per mano di papa Innocenzo XI, mentre è il 10 dicembre del 1726 quando papa Benedetto XIII lo proclama santo. Padre amorevole nei confronti dei più indigenti che popolavano il Nuovo Mondo, ai quali sovente regalava tutti i beni che riusciva a raccogliere grazie alla generosità di qualche donatore, Turibio è considerato patrono proprio degli indios di cui cercò di prendersi cura con tanto zelo e dedizione, ma è anche il santo protettore dei vescovi di origine sudamericana.



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