Attilio Romanò, vittima innocente della camorra: ucciso nel suo negozio di Capodimonte nel gennaio 2005 a causa di uno scambio di persona. Il caso a Un giorno in pretura.
Ancora un controverso caso di cronaca al centro della nuova puntata di Un giorno in pretura, in onda nella terza serata di oggi su RaiTre. La storia al centro della puntata sarà quella di Attilio Romanò, giovane ucciso a soli 29 anni a Napoli. Un omicidio che si è compiuto in una fredda mattina di gennaio di 12 anni fa all’interno del negozio di telefonia a Capodimonte, dove lavorava e di cui era socio. Una serie di colpi di arma da fuoco spezzarono per sempre la sua giovane vita e l’intero futuro che gli si prospettava davanti, dopo il matrimonio avvenuto appena 3 mesi prima. Attilio abitava a Miano, un quartiere limitrofo ai tristemente noti di Secondigliano e Scampia e dove imperversava la faida tra il clan Di Lauro e la cosca degli Scissionisti. Una guerra, questa, che in un solo anno portò a quasi un centinaio di morti. Romanò fu vittima di uno scambio di persona anche se per molto tempo ci si è domandati se dietro la sua morte ci fosse stato un tragico errore o l’ombra spietata della camorra. Ciò che apparve subito certo, furono i cinque colpi di arma da fuoco che inaugurarono la giornata del 24 gennaio 2005 spezzando per sempre la vita del 29enne, i suoi sogni, la voglia di famiglia, di lavoro e di Napoli.
UCCISO PER ERRORE DAL CLAN DI LAURO
Nella faida di Scampia c’è un elenco di persone che devono essere eliminate. Tra queste anche un nome e l’indicazione al killer su dove trovare la persona designata: negozio di telefonini, via Napoli a Capodimonte numero 24. E’ qui che il sicario entrò ed aprì il fuoco la mattina del 24 gennaio 2005. Colpì l’unica persona presente nel negozio, senza neppure domandarsi se era suo il nome che compariva nel lungo elenco della morte. Quella persona freddata senza un motivo è Attilio Romanò, vittima innocente uccisa per errore dal clan Di Lauro. Una morte da attribuire alle nuove leve della cosca di Paolo Di Lauro, ragazzi inesperti che sparano senza neppure accertarsi di essere davanti alla persona giusta. Per quel delitto ed al termine di lunghe indagini, nel giugno 2010 si giunse all’arresto di Cosimo Di Lauro, mandante dell’omicidio e Mario Buono, esecutore. Entrambi, al momento della notifica delle ordinanze di custodia cautelare si trovavano già in carcere: il primo in relazione alle indagini in corso sulla faida, il secondo già condannato all’ergastolo per un altro delitto clamoroso, quello di Nunzio Cangiano. La terza ordinanza raggiunse Marco Di Lauro, fratello di Cosimo e latitante.
IL MOVENTE DEL DELITTO
Ma cosa c’entrava realmente Romanò con questa guerra di camorra in atto? L’omicidio aveva un movente preciso: punire chi aveva osato lasciare i Di Lauro per passare dalla parte degli Scissionisti. Una decisione oltraggiosa ma che non aveva nulla a che fare con Attilio, lontano anni luce dalla criminalità organizzata. Fu così che il giovane negoziante 29enne perse la vita, per mano di un baby killer, all’epoca dei fatti poco più che maggiorenne, che agì senza preoccuparsi di chi fosse realmente la persona contro la quale esplose i cinque colpi di pistola. Non a caso il gip, come riportò Repubblica.it, parlò della “folle cecità di una condanna che colpiva Romanò, involontariamente e inconsapevolmente al centro dello scontro fra due fazioni camorristiche avverse”. Attilio, dunque, fu solo vittima di uno scambio di persona: al suo posto avrebbe dovuto fare la medesima fine il titolare del negozio di telefonia, Salvatore Luise, in quel momento assente. In realtà, come riferì il gip, neppure quest’ultimo risultava essere vicino alla camorra, se non per il fatto di essere il nipote di Rosario Pariante, passato dal clan Di Lauro agli Scissionisti. “Da qui l’efferatezza del delitto e l’approssimazione nel commetterlo, che denota lo scarso valore attribuito alla vita, tanto che i suoi autori materiali non ebbero neanche a sincerarsi con certezza delle fattezze fisiche della vittima designata”, scrisse il giudice.
IL PROCESSO E LE CONDANNE
Un destino beffardo, quello che colpì il giovane Attilio Romanò, poiché proprio il giorno del suo omicidio una pattuglia dei Carabinieri della zona aveva notato il baby killer Mario Buono aggirarsi nei pressi del negozio di telefonia. Essendo il giovane conosciuto per i legami con la famiglia Di Lauro, i militari avevano intenzione di fermarlo e controllarlo, ma ne furono impediti poiché rimasero imbottigliati nel traffico. Contro di lui, nel corso delle indagini, pesò anche la testimonianza di un pentito che lo indicò come il responsabile dell’omicidio Romanò. La prima udienza del processo a carico dei tre imputati ebbe inizio ufficialmente nel febbraio 2011. Il 2 maggio 2012 giunsero le condanna in appello all’ergastolo a carico di Mario Buono e del latitante Marco Di Lauro ma anche l’assoluzione di Cosimo Di Lauro, per l’inaudito omicidio di Attilio Romanò, vittima innocente della camorra.
