13enne stuprata dal branco: 6 condanne e 2 assoluzioni/ Melito, pene maggiori a fidanzato e figlio del boss

- Emanuela Longo

13enne stuprata dal branco per anni: 6 condanne e 2 assoluzioni nel processo "Ricatto". Gli gli imputati anche l'allora fidanzatino e il figlio di un boss

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Era il 2016 quando venne alla ribalta la triste storia di una 13enne di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) violentata dal branco per oltre due anni. La ragazzina era stata costretta al silenzio con ricatti e minacce ed alla fine aveva deciso di raccontare l’inferno degli abusi in un tema che però la madre decise di tenere nascosto, preoccupata più dell’opinione del paese ma soprattutto senza alcuna fiducia nei confronti delle istituzioni. Oggi, quel branco formato da otto giovani tutti imputati nell’ambito del processo denominato “Ricatto”, è stato in parte condannato dal tribunale di Reggio Calabria che ha confermato il racconto choc della vittima 13enne svelando le sevizie e gli abusi subiti per troppo tempo. Sei degli otto imputati, come riporta Repubblica.it, sono stati condannati: la pena più alta è andata a colui che la ragazzina credeva essere il suo fidanzato ma che poi l’ha “ceduta al branco”. Si tratta di Davide Schimizzi, condannato a 9 anni e mezzo (contro i 16 e mezzo chiesti dalla pubblica accusa). Giovanni Iamonte, rampollo dei clan e che per anni ha abusato della 13enne, è stato invece condannato a 8 anni e 2 mesi; due anni in meno a Michele Nucera, mentre 7 anni ad Antonio Virduci, 6 anni Lorenzo Tripodi e appena 10 mesi a Domenico Mario Pitasi, l’unico non accusato di reati sessuali. Due le assoluzioni, per Pasquale Principato e Daniele Benedetto. Schimizzi e Iamonte sconteranno la pena ai domiciliari mentre per gli altri è già stata disposta l’immediata scarcerazione.

13ENNE STUPRATA DAL BRANCO PER ANNI: TUTTO CONFERMATO IN AULA

Secondo quanto confermato nel corso del processo, la ragazzina di 13 anni era stata costretta dal branco a subire per due anni abusi di ogni tipo. Per mesi è stata trattata come un oggetto forti del terrore che incuteva la famiglia del capobranco, Giovanni Iamonte, figlio del boss Remingo. A cederla a coloro che contemporaneamente si approfittavano di lei, era stato colui che credeva essere il suo fidanzato. Ogni volta che la giovane provava a ribellarsi, scattavano le pesanti minacce nei suoi confronti: se non avesse acconsentito ad avere rapporti sessuali con loro, sarebbero state diffuse le sue foto mentre era a letto con il branco divenendo così la “disonorata” del paese, marchio che l’avrebbe resa una reietta anche per la sua stessa famiglia. E così quell’inferno era andato avanti per anni fino a quanto la giovane decise di raccontare tutto in un tema, accennando alle sue sofferenze e che finì nelle mani della madre. A quel punto il racconto della 13enne arrivò anche all’attenzione dei carabinieri che in pochi mesi identificarono il branco facendo emergere gli scabrosi dettagli.





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