Giacomo Cirello, il giovane che uccise a fucilate il padre Raffaello nel febbraio 2016, è quasi libero. Un anno dopo la sentenza che lo dichiarò non punibile perché incapace di intendere e di volere al momento del delitto, è arrivato il verdetto del Tribunale di sorveglianza di Firenze, che ha cancellato la parte più pesante del provvedimento dell’allora Gup Giampiero Borraccia. Non dovrà stare più dieci anni nei Rems, le strutture che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari, ma solo due anni di libertà vigilata, col vincolo di dimora ad Abbadia San Salvatore, dove si trova la comunità terapeutica in cui il ragazzo, 18enne all’epoca dell’omicidio, si trova dal momento della sentenza. E quindi Giacomo Cirello non andrà mai in carcere, né starà nei Rems, strutture meno oppressive dei vecchi ospedali psichiatrici giudiziari ma pur sempre dure da sopportare. Come riportato da La Nazione, si apre un percorso di ritorno alla normalità, visto che è stato accolto il ricorso presentato dal suo avvocato contro il verdetto del Gup.
GIACOMO CIRELLO, UCCISE PADRE A FUCILATE: È GIÀ FUORI
Decisiva in tal senso è stata la consulenza psichiatrica firmata dal medico legale Pasquale Giuseppe Macrì e dagli psichiatri Franco Scarpa e Sara Pezzuolo. Il raptus di Giacomo Cirello, provato da un’adolescenza difficile per la separazione dei genitori e la difficile convivenza con la madre prima e col padre poi, esplose il 26 febbraio 2016, dopo l’ennesima lite, davanti anche alla nonna inferma. Il padre se ne andò al bar a smaltire la rabbia, il figlio invece preparò l’omicidio: prese una doppietta, sparò un primo colpo di prova nel campo dietro casa e attese il rientro del padre. Poi lo sparo, la telefonata ai carabinieri e un silenzio rotto da una frase: «Ho fatto quello che andava fatto». Per mesi Giacomo rifiutò di parlare del delitto, non volle vedere neppure la madre nel carcere di Arezzo dove fu rinchiuso prima di essere trasferito in una comunità di Prato. Il pm Laura Taddei gli contestò l’omicidio premeditato, ma si arrese all’esito della perizia psichiatrica, da cui emerse la completa infermità di mente al momento di uccidere. Il tribunale di sorveglianza ora parla di «un buon compenso psichico e un efficace adattamento alla vita comunitaria. Per questi motivi ritiene il collegio di riformare la sentenza del giudice di primo grado». Ma resta la pericolosità sociale, da qui la libertà vigilata, pe rdue anni.