All’avvicinarsi delle feste natalizie, si assiste ogni anno al riproporsi di due fenomeni. L’aura di bontà e di solidarietà incita tutti quelli che fanno qualcosa per aiutare gli altri ad esporsi e raccogliere nei più svariati modi risorse finanziarie. D’altro canto, riviste, giornali e libri si interessano, anch’essi coinvolti dalla magica atmosfera natalizia, di temi genericamente spirituali.
Ed è su questo secondo aspetto che vorrei fare qualche riflessione.
Lo spunto mi viene da una inchiesta di Panorama intitolata Il libro sia con te e con il tuo spirito. Lasciamo da parte il discutibile buon gusto di questa titolazione e sorvoliamo anche sul fatto che l’inchiesta sulle «nuove tendenze», per cui «un’ondata di titoli dedicati ai consolatori dell’anima invade le librerie», è poco più che una rassegna – pubblicitaria? – di titoli.
Colpisce, piuttosto, che il revival spirituale sia spiegato legandolo alla crisi economica e alla conseguente necessità di rassicurazione e conforto, che verrebbe trovata, appunto, in una dimensione vagamente misticheggiante. Questo tipo di religiosità non sfugge alla giusta accusa di costituire «oppio dei popoli». Essere religiosi, avere un interesse spirituale è una fuga dalla realtà, è un modo per non guardare in faccia ai problemi, è la costruzione di un ambito privato separato dalle bruttezze della vita e dalle difficoltà dei rapporti quotidiani.
Colpisce anche che la rassegna di titoli proposti spazi nei più vasti orizzonti della spiritualità: dal buddismo all’induismo, dal cristianesimo antico allo stoicismo romano. In questo supermercato del sacro ognuno può scegliersi i maestri che preferisce, che più sente consoni per sviluppare la propria personale religiosità. Ma perché dovrei seguire un maestro di spiritualità, fosse anche scelto da me? La dimensione religiosa o è in me e io la posso scoprire con la mia ragione oppure affidarmi al parere, alle conclusioni, ai suggerimenti di un altro è un’alienazione.
Risulta qui evidente quanto sia diverso il sano realismo del cattolicesimo. Esso dice che per fare una seria indagine religiosa non devo affidarmi all’insegnamento di qualcun altro, ma guardare la mia stessa esperienza, considerare con tutta l’energia della mia ragione ciò che io personalmente sperimento nell’impatto con la realtà e non al di fuori di essa. Insomma, l’allontanamento della cultura dominante dal cristianesimo non ha saputo – né avrebbe potuto – cancellare le domande religiose. Ma esse vengono considerate non come l’esito di una ricerca razionale, ma tutt’al più come pulsioni emotive. Per rispondere alle quali non si ricorre all’infallibile criterio della ragione – il biblico «cuore» -, ma alle suggestioni di maestri intercambiabili. L’aveva già detto san Paolo: «Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie».