«Le navi vicine a voi sono della Marina Militare dell’Italia e sono venute per aiutarvi. Se volete, potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi vi porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e infine assistenza e medici. Dite cosa volete fare e di cosa avete bisogno». Queste parole non vengono usate dalle navi della nostra Marina quando intercetta i barconi degli immigrati nel Mediterraneo, ma sono un testo che ormai fa parte della storia; una pezzo di storia d’Italia che merita di non essere dimenticato e di cui ricorre in questi mesi il trentennale.
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Nel 1975 il Vietnam del Nord invase il Vietnam del Sud, imponendo su tutto quel Paese, martoriato da decenni di conflitti, il regime comunista. Negli anni successivi, nel tentativo di sfuggire alle violente persecuzioni, molti abitanti del ex-Sud preferirono rischiare la vita nel mare piuttosto che restare in Vietnam, divenuto un gigantesco gulag. Centinaia di migliaia di persone tentarono la fuga su imbarcazioni improvvisate; moltissimi, un numero imprecisabile, morirono in mare a causa di naufragi, stenti e attacchi dei pirati. Vennero chiamati i boat people, la “gente delle barche”. Di fronte a questa enorme emergenza umanitaria, per anni le potenze occidentali restarono immobili mentre gli Stati dell’area rifiutavano i profughi, ricacciando in alto mare quelli che venivano intercettati negli sbarchi.
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Nell’estate del 1979, il Governo italiano, alle prese con i drammatici problemi del Paese, immerso nel più cupo momento dei cosiddetti “anni di piombo”, ruppe gli indugi e organizzò, autonomamente da alleanze e istituzioni internazionali, una missione umanitaria, inviando nel Golfo del Siam, a soccorso dei boat people, tre navi della Marina Militare: gli incrociatori Vittorio Veneto, Andrea Doria e la nave da rifornimento Stromboli.
Le navi partirono il 4 luglio 1979 e rientrarono il 20 agosto successivo. Per comunicare con i profughi vennero imbarcati alcuni religiosi vietnamiti e cinesi indicati dalla Santa Sede. Non potendo sbarcare i fuggiaschi, che, come detto, non venivano accettati dagli Stati dell’area, le navi trassero in salvo i profughi che incontrarono durante la loro navigazione nelle acque dell’Estremo Oriente, alloggiandoli negli hangar degli elicotteri trasformati in dormitori. Raggiunto il massimo riempimento, furono costrette a tornare indietro.
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In meno di due mesi di missione, le navi italiane salvarono 891 persone. L’intervento umanitario italiano, a migliaia di chilometri dagli “interessi nazionali”, contribuì a smuovere l’inerzia di altri Stati che per ragioni geografiche o politiche erano molto più implicati in questa tragica vicenda e che in seguito intervennero.
Per il nostro Paese si trattò della prima missione militare di rilievo al di fuori del territorio nazionale dalla fine della seconda guerra mondiale e conseguì un importante ritorno d’immagine a livello internazionale. Potrebbe essere interessante riflettere sul metodo usato dalle nostre istituzioni politiche in quella ormai lontana emergenza umanitaria. Troppo spesso, infatti, di fronte a simili accadimenti, sembra che la ricerca di ampi consensi, sia in realtà la maschera per giustificare l’inazione e l’inutile spreco di tempo e risorse.
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Il prossimo 22 agosto si terrà al Lido di Jesolo (VE) una giornata commemorativa con molti dei protagonisti, presso la sede del Comitato della Croce Rossa Italiana. Il testo riportato all’inizio dell’articolo era il messaggio che veniva letto alle barche di profughi incontrate durante la navigazione in zona d’operazioni. Tutti i profughi scelsero di imbarcarsi e venire (oggi diremmo come “immigrati”) in Italia. Alcuni elessero poi il nostro Paese come definitiva patria d’adozione.
(Francesco Vignaroli)