Il fascino del Medioevo, spesso considerato un momento lontano e sterile della storia dell’umanità, o apparentemente senza legami con il mondo moderno, di cui ne fu invece una lenta e profonda preparazione, passa senza dubbio anche attraverso alcune figure e testimonianze chiave che hanno illuminato gli ingiustamente definiti secoli bui.
E quella di Anselmo d’Aosta, monaco e abate di Le Bec e arcivescovo di Canterbury, è senza dubbio una fra le personalità medioevali più significative, poliedriche e affascinanti.
Un’opportunità per la sua riscoperta viene dalla ricorrenza proprio in quest’anno del nono centenario della sua morte, occasione di varie celebrazioni nella provincia che vide i suoi natali (oggi stesso Benedetto XVI renderà omaggio al Santo nella Cattedrale di Aosta) e della pubblicazione delle sue Opere curate tra gli altri da Inos Biffi e Costante Marabelli presso Jaca Book, con il patrocinio della Regione Autonoma Valle d’Aosta.
Grande pensatore e uomo di fede, Anselmo è al tempo stesso una figura accessibile e semplice: nel racconto della sua vita, il monaco Eadmero delinea il profilo di una persona vicina; ricorda la terra nella quale è nato (nel 1033), il suo forte amore per le montagne, i suoi sogni, il rapporto con la famiglia (tenero con la madre, aspro con il padre), l’allontanamento da casa, la ricerca della propria via e di un maestro, la difficoltà a conciliare la ricerca del successo e la dedizione – che in lui prenderà corpo nella forma monastica – a Cristo e alla Chiesa.
Grazie alle sue composizioni, ha lasciato una nobile impronta nella storia del pensiero occidentale, scrivendo con la disinvoltura propria di chi possiede genio teologico e capacità di uno sguardo sintetico sul fatto cristiano, fino «ai vertici della “speculazione”» (De Libera), fino a preparare la strada alla fioritura teologica del XII secolo.
Nelle sue opere filosofiche e teologiche ha saputo indagare l’uomo e comprendere il mistero attraverso i suoi “temi” maggiori: la creazione, la caduta, la redenzione, la predestinazione, la libertà, la rettitudine, il bene e il male, fino alla ben nota formulazione di una prova originale e sintetica dell’esistenza di Dio.
Ecco così nascere il trattato di dialettica, il De Grammatico, il De veritate e il De libertate arbitrii; e ancora, il Monologion, il Proslogion e il Cur Deus homo: si potrebbe dire che non esiste nucleo teologico o antropologico fondamentale che da Anselmo non sia stato affrontato.
Eppure l’Anselmo speculatore è lo stesso conosciuto, incontrato quotidianamente e amato dai suoi monaci, che nella sua lunga permanenza a Le Bec (per trentatré anni, dal 1060 al 1093) ha saputo accompagnare e educare anche attraverso le numerose similitudini e parabole trasmesse; che ha saputo convincere, attrarre a sé e condurre a Cristo molti nuovi monaci, dei quali anche da arcivescovo non cancellerà il ricordo, e che saranno destinatari di molte delle sue lettere.
Tutto questo non deve far pensare ad una santità o ad un monachesimo sottratto al conflitto con il mondo, segnato solo da un disincarnato e facile distacco: pur accettato controvoglia, l’episcopato di Canterbury volle dire, per il Dottore Magnifico, una dolorosa responsabilità. Tanto da essere costretto, per salvare la libertà della Chiesa, a due esili, che lo allontanarono dalla diocesi per sei dei suoi sedici anni di episcopato.
Si tratta in sintesi di una testimonianza di vita cristiana irriducibile ad una semplice popolarità, o alla sola sensibilità o capacità comunicativa. È l’esito, i cui riflessi sono ad oggi ancora visibili, di una lunga, nascosta e silenziosa preparazione.
(Stefano Maria Malaspina)