L’Università Cattolica del Sacro Cuore, a un anno di distanza dalla sua morte, ha tenuto un incontro per celebrare la memoria di monsignor Piero Zerbi, docente di Storia medievale e per lunghi anni pro-rettore dell’ateneo. Riportiamo una sintesi dell’intervento della professoressa Maria Pia Alberzoni.
Intendo qui ricordare la figura e l’opera di don Piero (come familiarmente eravamo soliti chiamarlo) in uno degli aspetti della sua intensa attività che assorbì buona parte delle sue energie: la docenza in senso stretto.
Don Piero amava l’insegnamento, come si poteva cogliere con chiarezza sia dalla cura, con la quale preparava i suoi corsi e le sue lezioni, sia dalla serietà, con la quale adempiva al proprio compito: la sua presenza puntuale e costante alle lezioni era segnata dal fatto che esse iniziavano e terminavano con la recita della preghiera, appositamente collocata su tutte le cattedre.
Presenza puntuale, necessariamente differita nei momenti – e non furono pochi – segnati da precarie condizioni di salute. Personalmente ricordo che nell’a.a. 1973-74 egli non poté tenere le lezioni del primo semestre a causa di una grave malattia, che lo tenne forzatamente lontano per qualche tempo dagli amati chiostri di Largo Gemelli. Ma don Piero non amava risparmiarsi e le prove della sua dedizione totale sono numerose.
In coloro che hanno avuto il privilegio di essere suoi allievi rimane vivo l’esempio della sua grande serietà di studio e di lavoro, un motivo che per lui non andava certo disgiunto dal ministero sacerdotale, vissuto come elemento altamente qualificante la sua personalità e il suo compito di docente universitario, con gli impegni ad esso connessi.
Il ministero sacerdotale era all’origine della stima e del rispetto che egli costantemente dimostrò per gli studenti: don Piero cercava di manifestare in diversi modi la sua attenzione sia riconoscendo i “suoi” studenti e salutandoli cordialmente sia, dopo l’esame (soprattutto quando l’esito era stato positivo), accompagnando regolarmente il saluto con il tentativo di ricordare il voto meritato dallo studente che spesso, grazie alle sue eccezionali capacità mnemoniche, risultava essere giusto.
La stima e il rispetto per gli studenti si traducevano anche in una accuratissima e addirittura meticolosa preparazione dell’attività didattica: nei suoi oltre quarant’anni di insegnamento universitario don Piero non ha mai ripetuto gli stessi corsi, e, se talora l’argomento di un corso riprendeva quello di uno svolto in precedenza, ciò era perché si erano aggiunti nuovi elementi (bibliografici o documentari) che consentivano un approfondimento o, addirittura, la revisione delle precedenti convinzioni.
Mi limito qui a un esempio.
In preparazione del nono centenario della nascita di s. Bernardo (1990), don Piero nell’a.a. 1987-88 dedicò il suo corso a S. Bernardo di Chiaravalle testimone di se stesso, procedendo a una fine analisi degli scritti dell’abate per individuare gli elementi autobiografici in essi presenti, sull’esempio di quanto avevano fatto Arsenio Frugoni per Arnaldo da Brescia e Giovanni Miccoli per Francesco d’Assisi, come esplicitamente dichiarava in apertura del corso. A distanza di pochi anni, precisamente nell’a.a. 1991-1992 – l’ultimo in cui egli professò Storia medievale –, scelse ancora come tema: San Bernardo di Chiaravalle nelle controversie dottrinali del suo tempo: ultimi esiti di un lungo cammino. Come si vede, l’osservazione si spostava dalle questioni autobiografiche a quelle dottrinali, nella mai sopita tensione a definire sempre meglio la posizione del santo abate e dei suoi interlocutori/avversari nelle dispute teologiche che animarono il XII secolo, un profondo lavorio che sfociò nel volume «Philosophi» e «logici». Un ventennio di incontri e scontri: Soissons, Sens, Cluny (1121-1141), Milano-Roma 2002. Si trattò veramente di un interesse e di una passione che segnò tutta la sua vita, se consideriamo che al Concilio di Sens (il tema centrale nel volume del 2002) don Piero aveva dedicato il corso di Storia medievale dell’a.a. 1965-66.
L’esempio qui proposto consente di mettere in luce lo stretto legame esistente tra la didattica e la ricerca: tra la ricerca sempre attenta e sensibile ai nuovi elementi che via via emergevano e la comunicazione agli studenti, non considerata un momento passivo, una perdita di tempo, ma un’occasione di approfondimento comune, che spingeva il docente ad affinare e approfondire l’indagine al fine di renderla comprensibile anche per i non addetti ai lavori.
Per don Piero non c’era dunque separazione tra la ricerca e l’insegnamento. C’era piuttosto un procedere affiancati, compenetrati e, direi, arricchiti reciprocamente. Così attraverso le lezioni – come ho detto, accuratamente preparate –, nelle quali sempre si dava ampio spazio alla lettura delle fonti (in latino, ma sempre affiancato dalla traduzione italiana) e al dibattito storiografico, senza trascurare gli strumenti allora disponibili (fotocopie, carte geografiche), lo studente si sentiva realmente condotto a partecipare a un più ampio dibattito storiografico, nel quale don Piero si faceva quasi da parte, lasciando dialogare i maestri e i colleghi. Era anche questo un forte insegnamento a lasciar prevalere il confronto aperto, senza pensare di imporre la propria prospettiva e senza voler dare necessariamente risposte a problemi aperti.
Una breve nota, posta all’inizio del corso tenuto nell’a.a. 1972-73, intitolato L’esercizio del potere nel Medio Evo (diffuso pro manuscripto), è indicativa del metodo di lavoro da lui seguito. Do a lui la parola: «Lo scopo essenziale che si prefigge un corso universitario è l’apprendimento di un metodo di indagine scientifico. Il problema che affronteremo quest’anno riguarda le strutture sociali del medioevo, che studieremo sotto il profilo dell’esercizio del potere: un problema, quello dell’esercizio dell’autorità, che è oggi attualissimo. Studiandone le forme e i modi nel medioevo, scopriremo che questa età può dire ancora qualcosa all’uomo di oggi.
Prenderemo in esame, nella nostra indagine, l’ordinamento politico, per quanto sia molto difficile, nel medioevo, distinguere tra sfera politica ed ecclesiastica. Questo studio delle strutture politiche investirà il modo di pensare e le stesse categorie mentali dell’età che costituisce il nostro campo di ricerca.
Procederemo prendendo in esame i principali problemi e facendo, per ognuno di essi, il punto sulla situazione degli studi (…): in questo senso faremo una storia della storiografia. Vi sono infatti due compiti per lo storico: la ricostruzione paziente delle fonti e l’aggiornamento sui vari problemi storiografici».
Da queste poche ma efficaci parole emerge la costante attenzione di don Piero a non trascurare mai quegli aspetti che potremmo dire di storia della mentalità, che costantemente attrassero la sua attenzione. Ad essi dedicò alcuni corsi e le dispense Mentalità, ideali e miti del Medioevo, pubblicate da Vita e Pensiero nella collana Corsi Universitari (1975), ricche di spunti e di indicazioni metodologiche, vanno ben oltre il limitato ambito di un corso universitario.
Intendo infine ricordare il noto manuale Problemi di storia medioevale (la prima edizione è del 1977, ma ci furono ben 11 edizioni fino al 1998), che può essere considerato come il coronamento dell’opera didattica di don Piero, scritto in collaborazione con Annamaria Ambrosioni, colei che dal 1978 condivise con lui l’insegnamento di Storia medievale presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università cattolica.
Esso fu semplicemente la risposta a una reale necessità avvertita dagli studenti e non trascurata dal docente: ne sortì un’opera originale, che, almeno fino a tutto il XII secolo, offre importanti approfondimenti e imposta in modo discorsivo e chiaro, attentamente ragionato e confortato da numerosi riferimenti bibliografici, i principali passaggi del medioevo occidentale. Per queste caratteristiche fu adottato anche in altre Università e fornì un modello a successive presentazioni del periodo medievale a livello universitario.