Fin dall’inizio del suo impegno con gli studenti milanesi, a metà degli anni Cinquanta – prima come assistente della gioventù femminile e maschile di Azione Cattolica e poi come insegnante nel liceo Berchet -, Giussani ebbe chiaro che l’unico modo per rispondere alla sfida di un mondo che andava nella direzione opposta a quella della tradizione – e per il quale la fede e la ragione erano come due rette che non si sarebbero mai potute incontrare – era di indicare un metodo per cui le parole cristiane tornassero a essere una risposta convincente alla vita dei giovani.
Il metodo educativo di don Giussani non era quello di ripetere idee giuste, ma piuttosto il tentativo di ridestare qualcosa che c’era nell’altro, provocandone la libertà. Questo era il suo modo di fare compagnia ai ragazzi, di essere loro amico. Il suo era un richiamo a quel fascio di esigenze ed evidenze originali del cuore – esigenze di verità, di bellezza, di giustizia, di felicità – e un invito a un paragone continuo con esse.
Don Giussani educatore si identifica con questa sua capacità di ridestare nell’io il desiderio di qualcosa di bello, di vero e di grande, proprio a partire dall’incontro con la realtà, in qualche modo “consegnandosi” ai suoi studenti e poi alle migliaia di adulti che lo hanno seguito in questi cinquant’anni. Egli è stato di fronte a loro – e a noi – da uomo, li – e ci – ha sfidati a verificare la proposta cristiana come adeguata a degli esseri ragionevoli. Tanti hanno accolto il suo invito e questo li ha messi nelle condizioni migliori per dare un contributo al benessere del popolo, secondo la più autentica tradizione cattolica.
(dalla Introduzione di Julián Carrón, pp. 7, 11)