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Home » Cultura » IDEE/ E se i black bloc bruciassero la macchina di Gianni Vattimo?

  • Cultura

IDEE/ E se i black bloc bruciassero la macchina di Gianni Vattimo?

Gian Paolo Terravecchia
Pubblicato 5 Novembre 2011
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Foto Ansa

Dallo scorso luglio si svolge un vivace dibattito tra pensiero debole e nuovo realismo. I suoi esponenti sono Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris. GIAN PAOLO TERRAVECCHIA

Dallo scorso luglio si svolge un vivace dibattito (ne ha dato conto il blog di Gianni Vattimo) tra pensiero debole e nuovo realismo. I suoi massimi esponenti sono Gianni Vattimo, campione del debolismo, e Maurizio Ferraris, campione del New Realism. È quest’ultimo un realismo così nuovo che deve essere ancora varato – attendiamo il convegno di Bonn della prossima primavera per salutarlo. Esso però emerge ormai da tempo come una corrente forte e convincente, sorta da numerosi lavori di qualità. A essa, oltre allo stesso Ferraris, appartengono tra gli altri i nomi prestigiosi di Umberto Eco, John Searle e Paul Boghossian.


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Qual è la natura del contendere tra Vattimo e Ferraris? Che cosa c’è sotto? In fondo sembrerebbe di poter liquidare sbrigativamente la cosa, come suggerisce Franca D’Agostini: “Vattimo non nega che esista una qualche banale realtà su cui a volte diciamo cose banalmente vere, ed è ovvio che Ferraris non nega che quel che si spaccia per realtà, specie nelle materie più controverse, è spesso il frutto di ricostruzioni e semicostruzioni opportunamente (e ingannevolmente) orientate, per cui il nominalmente vero è formidabile menzogna”.  In realtà, invece, la battaglia tra i due ègiocata a più livelli ed è di grande importanza, soprattutto perla filosofia sociale.


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Che sia giocata a più livelli dipende dal fatto che, senza voler essere troppo analitici, la ritroviamo almeno come contesa politica, come scontro culturale e come battaglia filosofica. Su una parte della sinistra d’oggi il debolismo di Vattimo ha lasciato un solco profondo che non mi pare salutare, perché non fornisce un contributo costruttivo: un’opposizione che non fa della realtà lo strumento di misura per valutare gli atti dell’esecutivo non è efficace e non viene capita dalla base. Un altro livello della battaglia, chiamiamolo culturale, vede schierato da un lato il debolismo salottiero, una filosofia easy che gioca con le interpretazioni e si sente utile nella denuncia del potere. Gesto, quest’ultimo, che ha più il sapore del risentimento invece dell’indignazione per l’ingiustizia. Del resto, come essere certi che qualcosa è ingiusto, se si è debolisti? Su cosa si giustifica l’indignazione, se ogni interpretazione vale tanto quanto ogni altra?


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Dall’altro lato, con Ferraris, troviamo invece una concezione che, pur non rinunciando alla giocosità del pensiero, individua nella socialità la documentalità, uno zoccolo duro con cui fare i conti e che richiama a un oggettivo che comporta responsabilità e la possibilità di giudizi fondati sui fatti. Tra Vattimo e Ferraris, soprattutto, mi pare che si ritrovi il conflitto tra due orientamenti alla filosofia sociale. Uno è quello di Vattimo, legato ai temi del Sessantotto, l’altro quello della più recente filosofia sociale di cui Ferraris è un esponente importante. Da un lato la critica della società e la denuncia dei suoi meccanismi di potere, dall’altro una analisi delle forme della socialità. L’operazione che, ormai da anni, Ferraris sta facendo e che molti seguono con interesse non pare essere presa però molto sul serio in ambito accademico, se è vero che l’Italia può vantare una sola cattedra di filosofia sociale sull’intero territorio nazionale. Nel nostro Paese, del vasto dibattito internazionale si conosce appena la punta dell’iceberg e anche quella solo in parte. Oltre naturalmente al lavoro di Ferraris, si studia quello di John Searle. Gli autori di punta di quel dibattito sono però numerosi: Margaret Archer, Dave Elder-Vass, David-Hillel Ruben, Keith Sawyer, Paul Sheehy, Raimo Tuomela, per fare solo qualche nome.

Se si conoscesse almeno un po’ di più quelle ricerche (per esempio sull’ontologia sociale, l’intenzionalità collettiva o l’emergenza dell’ordine dagli atti di singoli agenti indipendenti), si avrebbero migliori strumenti concettuali per capire e magari affrontare, ad esempio, i recenti fenomeni di terrorismo e di guerriglia urbana. Questi sono svolti a partire da una metodologia accorta che si ispira alle ricerche svolte all’estero. Comportamento degli sciami, decentramento delle decisioni circa l’azione di gruppo, azioni anonime ma identificabili: sono tecniche che si studiano nella filosofia sociale di impronta realista (e perciò non quella di Vattimo). Per coordinarsi, per agire cooperativamente, per essere un gruppo senza essere una massa, o un esercito, bisogna imparare alcune forme di coordinamento. Sono cose che chi si perde nel gioco delle interpretazioni non trova interessanti, ma che per noi, di questi tempi, hanno grande importanza e che dovremmo imparare a capire. Vattimo agita lo spettro di Hitler per difendere il suo debolismo, ma oggi le emergenze sono ben altre e sarebbe bene che lui lo capisse prima che gli tocchi di risvegliarsi dal sonno ermeneutico, scoprendo che le nuove frange anarchiche, che come certi sciami tutto divorano, gli hanno dato fuoco alla macchina.


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