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Home » Cultura » SPILLO/ Attenti a quegli intellettuali che amano le chiese “silenziose e vuote”

  • Cultura

SPILLO/ Attenti a quegli intellettuali che amano le chiese “silenziose e vuote”

Giovanni Gobber
Pubblicato 31 Gennaio 2013
chiesa_interno_goticoR400

Immagine di archivio

Pietro Citati ha fatto sul Corriere un “Elogio delle chiese silenziose e vuote. La fede solitaria al posto di quella solenne, il vero cristianesimo”. Il commento di GIOVANNI GOBBER

Che senso ha la fede cristiana per la nostra vita? L’invito a riflettere viene dalla lettura di un importante articolo di Pietro Citati, “Elogio delle chiese silenziose e vuote. La fede solitaria al posto di quella solenne, il vero cristianesimo” (Corriere della Sera, 28 gennaio, p. 24). Il titolo non è dei più chiari: a quale “fede” si lega l’apposizione il “vero cristianesimo”? A prima vista, alla “fede solenne”. Tuttavia, l’elogio “delle chiese silenziose e vuote” favorisce l’aggancio alla “fede solitaria”. 


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Citati osserva che i cristiani sono sempre meno, ma questo non vuol dire che il cristianesimo si stia estinguendo. Vale anzi l’inverso: mai come oggi i cristiani leggono “i Vangeli e le migliaia di libri, che la fede e la tradizione hanno ispirato durante quasi venti secoli”. Se ne sono andati coloro che “veneravano il Cristo perché così volevano il potere e la società”. Beh, “veneravano”… diciamo “adoravano”, che è meglio (adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum): si onora la Madonna, si venerano i santi. Cristo non è soltanto un santo e non è soltanto un grande uomo. Così, almeno, si insegnava ai tempi della “fede solenne”. Quella “solitaria”, non so. Intanto, essendo “solitaria”, non potrebbe usare il “noi”, ma solo un “io”. Non ha un “tu” con cui mettersi a cantare la gloria del Signore. 


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Peraltro, cantare non è chic; meglio ascoltare il coro e intanto pensare, riflettere, studiare. Non che lo studio sia cosa brutta, per carità. È che una fede ridotta a lettura di testi è un po’ povera, per chi pretende ragionevolmente di trovare nella fede una risposta a domande che non lasciano tranquilli nella vita: che senso hanno le cose che faccio e quelle che mi succedono? Che senso ha il mio dolore o il mio piacere? Perché devo morire? Perché sono nato? E così altre. La fede che illumina la mia giornata e mi fa vedere un’ipotesi di senso nella mia pena quotidiana; la fede che mi conforta e dà fondamento alla mia speranza di senso; la fede che muove le opere e le rende grandi, anche se sono piccole piccole. 


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Certo, la fede si alimenta della lettura dei Vangeli. Viene però da chiedersi: basta leggere e studiare i Vangeli per comprenderli? Non so, mi sbaglierò, ma non avrei capito se non avessi ascoltato e seguito i miei genitori, il parroco, il padre spirituale, gli amici. Certo, leggendo i Vangeli ho raggiunto una migliore – per quanto ingenua – comprensione intellettuale dei contenuti della fede; sono riuscito a dire meglio perché valeva la pena seguire l’invito che veniva da altre persone (familiari, amici). 

Se la fede si rafforza con la lettura e lo studio dei Vangeli, non è detto che lettura e studio bastino alla fede. Felice colui che può leggere e comprendere a fondo il commento di Rudolf Schnackenburg (Johannesevangelium, Herders theologischer Kommentar zum Neuen Testament, 4 Bände, Herder, Freiburg i.B. 1984). 

Gioia grande prova chi abbia approfondito il Vangelo di Matteo alla luce del poderoso Evangelium nach Matthäus di Joachim Gnlika. Ben maggiore conoscenza del Vangelo di Marco otterrà chi avrà compulsato Das Evangelium nach Markus, sempre di Gnlika (qui Citati indica solo il commento di Rudolf Pesch, ed è un peccato). Non dimentichiamo poi Das Lukasevangelium di Heinz Schürmann e ulteriori volumi, di altri illustri studiosi. Infine, corre l’obbligo di menzionare il Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament (begründet von Gerhard Kittel, herausgegeben von Gerhard Friedrich).

A dire il vero, Pietro Citati, forse per sfiducia verso chi legge il Corriere, non dà gli estremi bibliografici degli originali tedeschi (pubblicati quasi tutti presso Herder di Friburgo in Brisgovia). Egli si limita a indicare le traduzioni italiane, uscite per i tipi di Paideia, “una delle migliori case editrici italiane, certo la migliore in ambito religioso“ (le altre si arrabbieranno molto). Ma noi, che diffidiamo delle traduzioni, abbiamo indicato gli originali (che tra l’altro sono più chiari; ah, dimenticavo: bisogna sapere il tedesco).

Tutte queste opere meritano di comparire nella biblioteca di un erudito. Ma un povero cristiano come me, che sa poco di teologia e pochissimo di esegesi biblica, cade nello sconforto: so che non riuscirò mai a leggere tutti questi grandi libri; non ne ho il tempo e, confesso, soprattutto non ne ho la volontà. Ma, allora, vorrà dire che sono un cattivo cristiano? Può darsi di sì: essendo grande peccatore, non sono in grado di apprezzare la “fede solitaria”. Mi attrae la “fede solenne”: preferisco una processione per le strade cittadine, seguendo la statua della Madonna, pregando e cantando in compagnia. È bello, per me, riconoscermi nella “fede solenne” che si fa istituzione di un popolo. Mi piace sentirmi piccolo e ignorante, anche perché lo sono per davvero. Non mi piace darmi arie da gnostico (parola che mi ricorda sempre gli gnocchi che faceva mia madre). Non riesco ad abbracciare una fede ridotta a conoscenza per pochi. Allo stesso tempo, ammiro i grandi uomini di fede, capaci di sacrificare la vita intera per donare al popolo di Dio un commento ai Vangeli: dedicano la vita allo studio, per amore di chi ha bisogno di comprendere a fondo le scritture. Costoro vivono nel dialogo perenne con gli altri; se avessero nutrito una “fede solitaria”, che ragione avrebbero avuto, gli autori, a redigere i dieci volumi del Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament?

Anche se non leggerò Schnackenburg (in quattro volumi, pardon: in vier Bänden), ho fiducia nella comprensione del Capo, che sa bene quanto io sia imperfetto e peccatore. Del resto, ognuno di noi è fatto a modo proprio: se a molti piace approfondire un cammino esegetico, vi è pure chi trova più naturale il “vieni e vedi” – questo è forse un cammino semplice a dirsi più che a farsi. Camminando, mi troverei in compagnia di tanti “meccanici di Voghera”, sodali della nota casalinga presa in giro dagli eruditi atei. I cristiani non sono pochi, neppure oggi. Forse non si notano, perché sono in giro a camminare.


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