L’assedio è quella condizione umana che tutti i cuori più aperti e sanguinanti sanno percepire. Basterebbe pensare all’assedio infinito del Buzzati del Deserto dei tartari. Siamo assediati da una vita quotidiana fatta di cose da sbrigare, lavoro da subire, rapporti disumani, relazioni a rischio e il risultato è la chiusura del cuore, l’anestesia del desiderio, l’orrore del vivere (“l’armistizio dell’indifferenza” dice l’autrice del libro). L’assedio della vita quotidiana è quello che Mariadonata Villa nel suo libro di poesie di esordio, appunto “L’assedio” (Raffaelli Editore, 84 pagine), analizza, con versi brillanti e spesso commoventi.
La quotidianeità, l’istante, lo smarrimento, la fatica, ma sempre con un pulsare caritatevole di un cuore che ha visto e toccato la speranza. I suoi versi sono squarci fotografici, istantanee che colgono la nostra debolezza, con tenera ironia a volte, con le lacrime in altre occasioni. Sono stanze di vita quotidiana, sono storie colte dallo specchietto retrovisore o fuori di un pub di Edimburgo. Che sia la tragedia delle Twin Towers o un pachistano al semaforo che rimane con la macchina ferma ed esclama “Madonna!”, Mariadonata Villa ci racconta la vita. Il suo è un linguaggio colto, ma per nulla pieno di sé, che pesca dai suoi poeti preferiti come lo scozzese John Burnside o la polacca Ewa Chrusciel o ancora Cesare Pavese. Le loro ombre e i loro fantasmi fanno capolino nella poetica di Mariadonata, così come certe pulsazioni che arrivano forte dalla musica rock, che finalmente viene accolta da un poeta e non considerata roba di “serie B”.
“Non si giunge appena in tempo al capezzale / di un morente / quando il tempo non è che l’attesa / che tutto finisca in un niente / si deve appoggiarsi a braccia / che i bastoni con cui si cammina fanno rumore / pur se animati dalle migliori intenzioni / c’è ancora gente che dorme, la notte, dentro al buio” scrive in La disciplina del guarire. Altrove coglie la tenerezza di un sospiro: “non si è mai pianto abbastanza per qualcuno / il cuore è questo asfalto / che l’acqua lava via, pulito e freddo / e il rumore di vetro rotto in lontananza”.
La poesia dell’istante, verrebbe da chiamarla quella di Mariadonata Villa: “La mattina presto, o dentro al cuore / della notte decidi / tu dove mettere nel tempo / queste quattro e nove / minuti / si sente il rumore degli angeli / un volo sulla città / nella notte fredda / si sente l’odore della pioggia / che arriverà come un marzo verde / i termosifoni della casa sono spenti“.
Come Raymond Carver, come un milione di canzoni rock, è nel silenzio dei termosifoni che si coglie la realtà: Mariadonata Villa con la sua poesia ci incita a imparare a guardare la realtà, cosa che abbiamo smesso di fare da tempo. Quella realtà che passa inevitabile per il Duomo sotto la neve, quel 24 febbraio: “La neve continua / sopra la grande distrazione di Milano / la piazza piena e la bara che ondeggia / come una culla di padre in figlio / sono un canto di gloria / più alto del ghiaccio“. Quel 24 febbraio, funerali di don Luigi Giussani.