Interrogarsi sul tema della giustizia nel nostro Paese fa correre inevitabilmente il pensiero alle mille polemiche politiche che hanno fatto la storia d’Italia dall’avvento di Mani pulite in avanti. In realtà, il dibattito sulla giustizia ha valenze filosofiche di grande spessore che riguardano tutti noi e la visione che abbiamo della società nella quale vogliamo vivere o che vogliamo lasciare ai nostri figli. Ecco perché un testo come Giustizia, Il nostro bene comune di Michael Sandel dovrebbe stimolare il confronto politico attualmente in atto per portare la discussione su temi centrali e sostanziali della vita presente e futura di questo Paese.
“Una società giusta – chiede l’autore – deve adoperarsi a promuovere la virtù dei suoi cittadini? Oppure la legge dovrebbe rimanere neutrale rispetto alle varie e contraddittorie concezioni della virtù, così che i cittadini possano essere liberi di scegliere da sé il modo migliore di vivere?” Se sembra un tema troppo alto è solo perché abbiamo smesso di sognare una società migliore che possa davvero segnare un cambiamento epocale rispetto alle tematiche “spicce” e di breve respiro affrontate negli ultimi anni. Confrontare e riflettere sulle visioni di Jeremy Bentham, John Rawls e Robert Nozick non è solo una stimolante avventura intellettuale, ma un vero e proprio processo di analisi di quanto abbiamo visto quotidianamente negli ultimi anni.
Alcuni esempi? Top manager di Wall Street che utilizzavano soldi statali erogati per il salvataggio delle aziende destinandoli al pagamento dei propri bonus personali. Salari di amministratori delegati negli Usa superiori di 334 volte al salario di un lavoratore medio (dato del 2007) quando nel 1980 lo stesso manager avrebbe guadagnato “soltanto” 42 volte di più. Le torture dei terroristi di Al-Qaeda nelle prigioni americane. La lobby dell’industria delle sigarette e le menzogne sul cancro. Il suicidio assistito. La vendita di organi. Quali sono le nostre opinioni su questi casi? Che visione e che valori ci guidano nel giudicare queste situazioni? Cosa ci aspettiamo dalla politica su questi temi? “Chiedersi se una società sia giusta – sottolinea Sandel – significa chiedersi come distribuisce le cose a cui diamo valore: il reddito e la ricchezza, i doveri e i diritti, il potere e le occasioni, le cariche e gli onori. Una società giusta distribuisce questi beni nel modo giusto, dando il dovuto a ciascuno e a ciascuna; le difficoltà sorgono quando cominciano a chiederci che cosa sia dovuto alle persone, e perché“.
Tre le prospettive attraverso le quali affrontare la tematica: quella utilitaristica, che massimizza il benessere generale e ne fa un punto fondante; quella libertaria, che si basa sulla libertà individuale come elemento imprescindibile e insostituibile; quella della giustizia come equità.
Se guardiamo alla situazione attuale, possiamo dire che sono due le prospettive che idealmente si fronteggiano, o meglio che si dovrebbero fronteggiare, in un dibattito di valori degno di questo nome. Da un lato la filosofia del libero mercato che ha avuto una delle sue massime teorizzazioni in Anarchia, stato e utopia di Robert Nozick, secondo il quale “la diseguaglianza economica non ha nulla di ingiusto in quanto tale… e la giustizia distributiva dipende da due requisiti: che l’acquisizione iniziale della ricchezza si compia in modo giusto e che il trasferimento da un soggetto all’altro avvenga secondo giustizia”.
La seconda prospettiva è stata illustrata da John Rawls in Una teoria della giustizia dove l’autore si chiede “a quali principi daremmo il nostro assenso trovandoci in una situazione iniziale di uguaglianza”. L’idea di Rawls è che se non sapessimo quale posizione andremo ad occupare nella società (ricchi, poveri, uomini di potere, emarginati, minoranza religiosa, etc), se fossimo cioè “dietro un velo di ignoranza”, sceglieremmo partendo da una posizione originaria di uguaglianza. E visto che nessuno sarebbe in una posizione di vantaggio, i principi che ne scaturirebbero sarebbero giusti.
Immaginare un confronto su questi temi nella realtà del nostro Paese, vorrebbe dire riportare il discorso su un piano molto alto e fornire una prospettiva di elevatissimo profilo che ci consentirebbe di scegliere da che parte stare con maggiore chiarezza. Avere un’idea più estrema, ma proprio per questo più chiara di che Paese vogliamo abitare e vivere. Quali principi vogliamo valorizzare maggiormente. Libertà o uguaglianza? Mercato o tutela sociale? Dovremmo anche tornare ad occuparci di etica e di valori, senza avere il timore che questi esulino dall’impegno politico. “Spesso – sostiene Sandel nella conclusione del suo libro – pensiamo che la politica e la legge non dovrebbero impegolarsi nelle controversie etiche e religiose, perché intromissioni aprono la strada alla coercizione e all’intolleranza. È una preoccupazione legittima. I cittadini delle società pluralistiche in effetti possono avere opinioni diverse in materia di etica e d religione… Però abbiamo bisogno di una vita civile più sostanziale e più impegnata di quella cui siamo ormai abitati”. E ancora: “Impegnarsi pubblicamente in modo più sostanziale sui nostri dissensi etici potrebbe servire a fondare il nostro reciproco rispetto su una base più robusta, anziché fragile”. “Una politica di impegno sui temi etici non è soltanto un ideale più potente rispetto a una politica che eviti il confronto; è anche un fondamento più promettente per una società giusta”.
Forse è da qui che dovremmo partire per lasciare un mondo migliore ai nostri figli, per tornare ad avere fiducia e ottimismo nel futuro, per non affrontarlo, come ha detto magistralmente Alessandro Baricco, collegandolo all’idea di un dovere, di qualcosa di punitivo, ma piuttosto come un’occasione attraverso la quale “vivere non una vita sola, ma due, tre”.
(Lucia Romeo)