Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Massimo Borghesi in risposta ad alcune critiche ricevute in questi giorni su alcuni media riguardo ai Papi Benedetto e Francesco.
Prima Antonio Simone (Bene Alfano, non bene il filosofo che per ferire l’ateo bombarda BXVI) ed ora Riccardo Cascioli sul suo blog (Le falsità di Borghesi su Ratisbona). E’ un po’ troppo. Un po’ troppo per uno che ha scritto di recente due volumi tesi a valorizzare l’intelligenza teologica e il pontificato di Ratzinger-Benedetto XVI. Parlo del mio Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana (Marietti 2013) e di Senza legami. Fede e politica nel mondo liquido: gli anni di Benedetto XVI (Studium 2014). Simone, dal video di una mia recente conferenza padovana, dedicata alla teologia politica e scaricabile su youtube, riporta mie affermazioni “strabilianti”: «Già Ratzinger fece quell’errore di metterci Maometto di mezzo nel discorso di Ratisbona e ci furono uccisioni, ci furono persecuzioni. Non si può dire che è l’Islam, perché nell’Islam c’è di tutto… E se dici così è perché vuoi la morte dei cristiani». Commentandole il nostro osserva come «Finalmente una accusa di procurato genocidio con mandante certo, Ratzinger, il Papa, che tenne una lectio magistralis all’Università di Ratisbona». Termina poi con osservazioni che mi appaiono totalmente irragionevoli.
La presentazione di Simone deve, a quanto pare, aver stuzzicato l’appetito di quanti, negli ultimi tempi, si sono sentiti infastiditi delle mie critiche, di coloro che dentro la Chiesa stanno remando platealmente contro il papato di Francesco contrapponendolo, in un modo del tutto ideologico, a quello di Benedetto. A questa polemica per me senza senso si aggiunge Riccardo Cascioli che, nella giornata di lunedì, ha vergato il suo giudizio senz’appello. Per Cascioli è «incredibile come certi intellettuali, per accreditarsi come fedelissimi di papa Francesco sentano il bisogno di sparare sui papi precedenti, contribuendo ad accreditare l’idea che sia iniziata una nuova epoca nella Chiesa – più libera, più vera, più attaccata alla fede in Gesù Cristo – in rottura con la precedente – ovviamente oscurantista, chiusa, intransigente, arroccata sui valori, incapace di incontrare altri. E’ un’immagine caricaturale della Chiesa e dei Papi, e l’ultimo a unirsi a questo coro conformista è il filosofo Massimo Borghesi».
Così risuona l’incipit di Cascioli. Peccato per lui, però, che questa visione sia la sua, non la mia. Per quel che mi riguarda, nell’introduzione del mio volume Senza legami scrivevo: «La raccolta termina con le dimissioni di Benedetto. Con ciò non si chiude un’epoca. Benedetto non è stato un intermezzo, l’intervallo “tra” Giovanni Paolo II e Francesco. In realtà rispetto al declino della Chiesa tra la fine degli anni 90 e i primi del 2000, è stato piuttosto un inizio, l’inizio di una purificazione che trova in papa Francesco la sua esemplare prosecuzione».
Come si può notare la mia visione non è Francesco contro Benedetto ma Francesco e Benedetto. Se Cascioli e Simone avessero letto i miei testi avrebbero evitato di scrivere ciò che hanno scritto. Poiché, evidentemente, ciò non è accaduto, Cascioli può appigliarsi alla conferenza di Padova nella quale il sottoscritto «ha addirittura addebitato a Benedetto XVI la responsabilità morale di stragi e persecuzione dei cristiani nei paesi islamici a causa del famoso discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006». Per Cascioli «obiettivo di Borghesi sono quelli che lui definisce “i teocon di ritorno” che hanno criticato Francesco per la sua presunta timidezza nei confronti dei terroristi islamici che hanno costretti i cristiani iracheni alla fuga. Secondo Borghesi, costoro avrebbero voluto che “il Papa dichiarasse guerra all’Islam”(…) e per dare più forza a questo giudizio, afferma letteralmente: “…Già Ratzinger, Benedetto, fece quell’errore….”». E qui Cascioli cita la stessa affermazione riportata da Simone commentando da par suo: «accusare papa Benedetto XVI di essere causa diretta di uccisioni e persecuzioni di cristiani è una enormità sconcertante, e soprattutto un falso storico».
Che dire di fronte a ciò? E’ vero che quando la diversità delle posizioni ideali si accentua il gioco si fa sporco. Non deve, però, superare certi limiti. Non tutto può essere tollerato. Simone e Cascioli nella loro foga fanno ciò che non devono fare: mischiano frasi che nel parlato si riferiscono a soggetti diversi, la prima a papa Benedetto, la seconda ai teocon che vogliono la guerra contro l’Islam. Nel primo caso il mio rilievo si riferiva all’unico limite presente nel discorso di Ratisbona, per il resto splendido: quello di aver citato, nel discorso dell’imperatore bizantino, il nome di Maometto, nome sacro a tutto l’Islam. La critica alla violenza religiosa poteva fare a meno, nel discorso non di un teologo o di un filosofo ma di un Papa, di quel dettaglio senza perdere in nulla la sua incisività.
E’ quanto osserverà, con grande lealtà, lo stesso Benedetto nella sua intervista Luce del mondo: «Avevo concepito quel discorso come una lezione strettamente accademica, senza rendermi conto che il discorso di un Papa non viene considerato dal punto di vista accademico ma politico». La mia critica era pertanto volta a quel dettaglio, inopportuno, e non certo al discorso di Ratisbona che resta un modello di dialogo interreligioso fondato sulla ragione e non sulla violenza.
Né mi sognavo di coinvolgere il Papa nella responsabilità della morte di cristiani in terra islamica. Questa morte, ed era il senso della frase che seguiva, era invece implicitamente richiesta proprio da coloro che in nome della fede chiedevano a gran voce, al suo successore Francesco, di proclamare la crociata, la guerra “religiosa” contro l’Islam. Chiedevano a Francesco quanto Benedetto, con Ratisbona, voleva evitare e superare: il conflitto politico-religioso. Per capire quanto affermavo nella sua giusta prospettiva bastava ascoltare le parole che seguivano, parole che Simone e Cascioli si guardano bene dal riportare.
Contro coloro che volevano e vogliono la guerra contro l’Islam si affermava che, in tal caso, «Ti fai forte della bandiera ma non ti curi minimamente poi della realtà di quelle persone che dici di voler difendere. Ma allora è solo un alibi ideologico, non una preoccupazione reale. Sono gli iperortodossi, i nuovi zeloti. Il pericolo per la Chiesa e per i cristiani negli anni 70 era la sinistra. Oggi il pericolo è a destra. Perché il mondo è totalmente cambiato e il pericolo non sta mai da una parte sola, cambia secondo la scena del mondo. Oggi gli iperzeloti sono quelli che, direbbe Péguy, ostacolano di più la comunicabilità della fede, quelli che chiudono le porte, quelli che mettono i doppi chiavistelli, quelli che si preoccupano dell’ortodossia al punto da fare lo screening ogni giorno al Papa, se è cattolico o non è cattolico, arrivando al ridicolo totale. Quelli attaccati ai valori non negoziabili non per se stessi, che sono giusti, ma perché permettono di sentirsi una parte eternamente in lotta. Se togliete loro il nemico non sanno più cosa fare. Si addormentano se non c’è il nemico. Quindi sono reazionari perché si muovono per “reazione” mentre la fede cristiana è positiva, è innanzitutto propositiva. Poi i nemici uno li incontra, perché non tutti gradiscono quanto proponi».
Sono queste parole, non c’è dubbio, dette a caldo nel pathos di una conferenza, e non l’inciso su Ratisbona che hanno mosso i nostri due critici ad accusarmi in modo palesemente non nobile, ignobile. Si sono evidentemente riconosciuti nel mio ritratto ed hanno pensato bene di colpirmi. Ci sono riusciti perché la stima e l’affetto che ho avuto e che ho per Ratzinger, da teologo e da Papa, ben documentati dai miei due volumi, non possono essere messi in discussione. Né piegati nella polvere di polemiche che non si sollevano dalla denigrazione e dall’insulto. Documento, se ne cercassimo ancora la prova, di un pensiero cristiano che non esiste più.