LETTURE/ Laura Mancinelli, scrivere storie tra realtà e mistero

- Franco Camisasca

Ritrovare certi libri è un incontro inaspettato. FRANCO CAMISASCA su "La casa del tempo" di Laura Mancinelli. "Una lezione di saggezza che ricorda certi finali sussurrati di Cechov"

lauramancinelliR439 Laura Mancinelli (Immagine d'archivio)

Leggere e scrivere — dicono ormai tutti, soprattutto da quando i romanzi si scrivono in comitiva via internet e si leggono nei mezzanini del metro o alle fermate dei bus o nei caffè — sono un’avventura, un evento dagli esiti imprevedibili. Talvolta un’avventura, apparentemente banale, è ritrovare tra gli scaffali disordinati (i miei) un romanzo, mentre stai cercando tutt’altro. Mi capita di trovarmi tra le mani La casa del tempo, di Laura Mancinelli; l’avevo letto quasi vent’anni fa, lo riapro e, interrompendo ciò su cui sto lavorando, lo rileggo tutto d’un fiato. 

Ricordavo si trattasse di un racconto piacevole, ma sono rimasto oltremodo stupito perché la vicenda scorre tra un realismo disarmante e una vena di mistero che la rende affascinante anche oggi, soprattutto se paragonata a talune mode nostrane. La scrittrice vive a Torino dove, dopo brevi docenze in altre città, ha insegnato letteratura tedesca medievale alla facoltà di lettere. Germanista di grande autorevolezza, è autrice di numerosi saggi e traduzioni di classici antichi. Da trent’anni è anche narratrice, attività a cui è approdata, come lei stessa ricorda, quasi per caso: «non avevo mai pensato di fare la scrittrice, né lo avevo mai desiderato. Amavo la mia professione, che mi dava molte soddisfazioni e non mi costava fatica: ero docente di germanistica con particolare specializzazione nella letteratura tedesca medievale, un campo poco o nulla studiato in Italia, nel quale mi ero avventurata con grande entusiasmo scoprendo cose assai interessanti. Mi ero dedicata alla traduzione di poemi in antico tedesco che rendevo in versi italiani e che riempirono la mia vita fino a un certo momento. Il momento in cui fui ricoverata agli Ospedali Riuniti di Venezia per un disturbo alla vista: allora avevo la mia cattedra e vivevo a Venezia. Rimasi in ospedale due settimane, per analisi, benché il disturbo fosse totalmente scomparso dopo tre soli giorni. Nell’inerzia forzata di quelle notti insonni ripassai nella mente tutta una trama di romanzo che avevo abbozzato per scherzo molti anni prima. Una volta dimessa dall’ospedale, ne feci una stesura corretta e completa: era il 1981 quando uscirono I dodici abati di Challant. Pensavo, allora, che sarebbe stato il primo e l’ultimo romanzo della mia vita. Invece poi la narrativa mise radici in me come una necessità. O forse un vizio?» 

Dopo quel primo romanzo, ambientato in un monastero, altri ne seguirono; storie del mondo medievale, come Il miracolo di Santa Odilia (1989), I tre cavalieri del Graal (1996), Il principe scalzo (2005). Più di venti sono i titoli di narrativa tutti per Einaudi; i più recenti Gli occhiali di Cavour (2009), Due storie d’amore (2010), Un peccatore innocente (2013) e Il passato è presente (2014).

La casa del tempo è la storia di un pittore che, ritornato nel paese natale, compera la casa della sua  ex maestra. Perché la compera non avendone necessità? Non sembra esserci risposta nella narrazione, ma strani segnali vengono dalla permanenza in quella casa, così strani da condizionare la vita del protagonista: un fratello si rompe una gamba, un’amica fugge dopo poche ore colpita da una curiosa infezione, un gatto nero sembra non portare proprio sfortuna, l’oste zoppo del paese sa molte cose ma preferisce la reticenza. Ci si potrebbe aspettare una vicenda piena di “volgare sensazionalismo” come sostiene Italo A. Chiusano (l’acquisto della casa è forse dettato da un amore segreto per la maestra, ragazza madre?), invece tutto resta su un tono ironico quasi onirico e perciò avvincente. La scrittura  è piana e accattivante, magica in talune descrizioni. 

In epoca in cui i ragazzi non sembrano aver più voglia di leggere, ingabbiati tra selfie e whatsapp, sarebbe opportuno che qualcuno, magari un insegnante, proponesse loro un romanzo così o addirittura lo leggesse in classe, perché no?, a voce alta. Anche con un racconto non politically correct si può sperimentare la passione per la lettura e ritrovare “una lezione di saggezza che ricorda certi finale sussurrati di Cechov”, come sostiene Chiusano, nel risvolto di copertina de La casa del tempo, edito da Piemme nel 1993.





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