Al Metropolitan Museum di New York si trova un sarcofago con un bassorilievo che rappresenta la lotta fra le Muse e le Sirene: a sinistra schierate le Muse trionfanti, a destra prostrate le Sirene, nella loro forma più antica di donne con zampe da uccello. Non risulta alcun testo letterario che racconti o celebri questa contesa, accennata soltanto da un tardo lessicografo: doveva però essere tradizionalmente nota e particolarmente significativa se è stata fatta oggetto di decorazione in un’opera destinata evidentemente a un privato.
E l’idea di un rapporto di contrapposizione fra queste figure mitiche apre considerazioni di grande interesse. E’ chiaro che l’oggetto della contesa è l’arte, o il canto: ma a differenza di miti che contrappongono il singolo dio ad esseri umani che si vantano delle loro abilità e vengono non solo sconfitti ma uccisi o trasformati per punizione della loro empia pretesa, qui abbiamo due nuclei di divinità o esseri soprannaturali dotati entrambi di grandi abilità: il contrasto nasce dalla destinazione di tale abilità, dall’esito sul mondo e sugli uomini.
L’esito dunque, fuori di metafora, dell’arte.
Il poeta Esiodo racconta che quand’era un pastorello sulle pendici dell’Elicona gli sono apparse le Muse, che in una misteriosa teofania gli hanno rivelato i due possibili modi di essere poeta: Noi sappiamo dire molte menzogne simili a cose reali, ma sappiamo anche, quando vogliamo, cantare il vero. Il giovane però deve essere profeta di verità: Dissero così le figlie del grande Zeus dal franco parlare, e mi diedero come bastone un ramo di florido alloro che avevano colto, mirabile. E mi ispirarono il canto profetico, perché cantassi il futuro e il passato. Dunque l’arte ha la capacità di essere veridica o menzognera, profetica o ingannevole: ma il compito assegnato al poeta, rappresentato anche dalla consegna del ramo appena colto, è netto: cantare il vero.
Un altro poeta che fu anche filosofo e politico, Solone, ci comunica due aspetti delle Muse. Anzitutto la loro origine: se il padre è il più grande dio, Zeus, la madre è la dea della memoria, segno che l’arte trae dal deposito della memoria il vero che vi è stato ispirato e nello stesso tempo rende vivi nel ricordo gli artisti ( non morirò del tutto dirà il poeta latino Orazio) e l’oggetto del canto; in secondo luogo la loro capacità di donare agli uomini quanto li rende felici e onorati: Ascoltate la mia preghiera: concedetemi di avere felicità da parte degli dèi beati e sempre buona fama da tutti gli uomini.
Nel Fedro di Platone troviamo un riferimento alle Muse a proposito del mito delle cicale, che Socrate racconta traendo spunto dal continuo frinire tipico della stagione estiva: Si dice che un tempo queste fossero uomini, di quelli vissuti prima della nascita delle Muse; e quando nacquero le Muse e si manifestò il canto, alcuni degli uomini di allora furono così colpiti dal piacere che cantando trascurarono cibo e bevanda, e morirono senza accorgersene. Da loro in seguito sorge la stirpe delle cicale, che ottenne dalle Muse il dono di non aver bisogno fin dalla nascita di nutrimento, ma di cantare subito senza cibo né bevanda, sino alla fine. E poi si recano dalle Muse e riferiscono chi fra gli uomini di quaggiù onora ciascuna di loro. Gli uomini/cicale hanno quindi il compito di porre in rapporto le Muse con i loro fedeli, ciascuno per il tipo di arte che onora di più, fino alle due Muse maggiori, Urania e Calliope, che presiedono alle cose celesti e ai discorsi sugli dèi e sugli uomini: il loro canto, il più soave, è un canto di conoscenza. Onorare le Muse, soprattutto le due più importanti, implica indagare sulla realtà, ricercare il vero in un dialogo che non sia sciocco e ozioso, come Socrate invita Fedro e fare insieme a lui.
Ma c’è un altro aspetto. Dice Socrate: se (le cicale) vedono che dialoghiamo e le oltrepassiamo navigando, come davanti alle Sirene, senza farci affascinare, compiacendosi ci daranno il dono che hanno l’incarico di dare agli uomini da parte degli dèi. Il canto delle cicale può affascinare come quello delle Sirene, impedendo di confrontarsi con la realtà così come gli uomini primitivi hanno dimenticato di vivere: ma se si evita di farsi incantare, le cicale svolgono il loro compito di porre in rapporto con le Muse. Il riferimento è evidentemente al testo omerico. E’ una maga, Circe terribile e saggia, ad avvertire Ulisse: chi ascolta le Sirene dimentica ogni cosa, resta incantato su un prato pieno di cadaveri corrotti. Solo Ulisse udrà il canto, legato all’albero della nave, un canto affascinante, che promette sapienza e gioia, la comprensione della storia che ha vissuto e la conoscenza di tutto quanto avviene sulla terra feconda, ma in realtà porta solo all’oblio, l’inazione e la morte. L’arte è dunque verità e menzogna, memoria e dimenticanza, felicità e distruzione, vita e morte (non a caso, allora, la scelta del fregio per il sarcofago): e se le Sirene sono connesse solo con gli aspetti più distruttivi, le Muse richiedono dal poeta e dal pubblico una responsabilità, un coinvolgimento che usi la ragione e tenda al vero.